10.6.10

Una doppia giustizia. Un intervento del procuratore Nino Di Matteo.


L'Associazione Culturale "Resistenza Antimafia" il 28 maggio scorso ha organizzato alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo un incontro sul caso Genchi e sulla legge anti-intercettazioni. Nell’occasione è intervenuto Nino Di Matteo, presidente dell' A.N.M. Palermo (Associazione Nazionale Magistrati), un magistrato impegnato in delicatissime inchieste e processi concernenti i rapporti tra mafia e pezzi delle istituzioni. Posto qui uno stralcio del suo intervento (S.L.L.)

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Dire che la legge in via d’approvazione è diretta contro magistrati e giornalisti è una lettura minimalista. I magistrati, senza questo strumento, lavorerebbero di meno e sarebbero meno esposti. La legge colpisce i cittadini, tutti i cittadini in due diritti costitutivi del loro essere cittadini.

In primo luogo il diritto ad essere tutelati contro la criminalità. I promotori di questa legge è bene che poi non vengano a cercare poliziotti, carabinieri e magistrati sulla situazione della sicurezza e dell’ordine pubblico. E non parlo solo della mafia, ma anche di tanti altri delitti. In molti casi è proprio grazie alle intercettazioni che riusciamo a portare a termine i processi con le giuste condanne.

In secondo luogo è minacciato il diritto di essere informati su ciò che accade, anche il di là dei processi e degli stessi reati. Un cittadino elettore ha il diritto di conoscere, quando la notizia sia documentata e presente in atti giudiziari, se un uomo politico si incontra con un capomafia e discute con lui di appalti pubblici e di assunzioni? ha il diritto di essere informato se in un qualche salotto esponenti politici discutono con capimafia della sanità pubblica? Un cittadino ha il diritto di seguire e di controllare l’attività della polizia e della magistratura? Ci si rende conto che il silenzio sulle indagini favorisce omissioni ed insabbiamenti di indagini importanti? che nel silenzio prospera la corruzione, anche tra i magistrati, e prosperano gli affari illeciti di qualsiasi tipo?

La legge non colpisce i magistrati e i giornalisti, ma i cittadini e li trasforma sempre di più in sudditi, che, anche nel momento di esprimere il voto, conoscono solo ciò che si vuol fare filtrare e non tutto ciò che si può apprendere attraverso un’informazione libera.

Ho il netto convincimento che questa legge sulle intercettazioni non sia avulsa da un contesto generale. Ho lo sgradevole convincimento che da alcuni anni con tutta una serie di riforme si stia delineando una giustizia a due velocità.

Da una parte una giustizia rapida, abbastanza efficiente e giustamente dura, con i criminali deboli, contro i delinquenti di strada, contro i ladruncoli, i rapinatori, gli spacciatori e i piccoli mafiosi, quelli con la coppola che chiedono e riscuotono il pizzo. E’ bene che sia così.

Ma si vuole anche una giustizia timida, non incisiva, remissiva e con le armi spuntate nei confronti della criminalità dei cosiddetti “colletti bianchi”. Penso a una legge come quella sulla “prescrizione breve”, la cosiddetta “Cirielli”. Penso alle leggi in discussione con il codice di procedura penale che affidano le indagini alla sola polizia giudiziaria, un organo soggetto al potere politico. Ci sono molte innovazioni già attuate e in discussione, che stanno avviando il nostro sistema giudiziario su questa strada. Ma noi sappiamo che, se vogliamo sconfiggere la mafia, dobbiamo colpire non solo in basso ma anche in alto, dobbiamo guardare alle collusioni a tutti i livelli, con l’imprenditoria, con la politica e dobbiamo colpire i rapporti con la criminalità organizzata che ci sono nelle istituzioni dello stato, nella polizia, nella magistratura, tra le forze di sicurezza, nei servizi segreti. Se uno Stato vuole essere credibile non deve avere paura di niente, non deve avere paura di scoperchiare verità scomode, di processare se stesso. E invece no. Ci si spuntano le armi: non solo con le intercettazioni, ma anche con i collaboratori di giustizia. Fino a quando rivelano i reati accaduti all’interno dell’organizzazione criminale, tutti li lodano; quando cominciano a toccare le collusioni in alto ci si scatena contro di loro, si mettono limiti alla protezione. I mafiosi hanno un grande fiuto per queste cose. E’ per questo che in certe indagini tutto è diventato più difficile.

Due cose per finire, da tecnico. Vi dicono che il numero di intercettazioni decretate dalla magistratura è altissimo, senza paragoni nei paesi democratici. E’ una bufala. Ci sono ordinamenti molto diversi da uno Stato all’altro. In molti per le intercettazioni ambientali e telefoniche non è neppure necessario il controllo della magistratura: è la polizia a scegliere quando e come utilizzare questo strumento di indagine. Vi dicono che le intercettazioni costano molto. Forse è vero. Queste attività, infatti, vengono affidate a ditte esterne che non solo vi profittano, ma che diventano depositarie di conoscenze che dovrebbero rimanere patrimonio del magistrato e della polizia che le esegue. Perché, per evitare gli eccessi di spesa, non si dotano i carabinieri, la finanza, la polizia giudiziaria delle professionalità, delle attrezzature, degli strumenti necessari? Che cosa c’è dietro?

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