23.6.10

La librosità (di Gian Paolo Cesarani)

Qualche anno fa mi capitò di dover fare un piccolo regalo a un’anziana signora. Mi fu detto che desiderava da me (da me, lo “scrittore”) un bel libro. Io sapevo però che non era assolutamente abituata alla lettura. Che cosa scegliere per lei? Ecco un minimo ma per me importante quesito. Non volevo cavarmela con Liala. Alla fine scelsi I Buddenbrook, pensando che (la vita di famiglia, le case, i pranzi) l’avrebbe interessata e la scrittura non l’avrebbe intimidita.

Qualche tempo dopo venne a trovarmi. Il libro le era piaciuto enormemente: voleva leggere altre cose di quello scrittore. Chiacchierando, mi disse però una cosa che mi lasciò stupefatto: quel libro era “proprio uguale” a l’altro libro (lunico) che aveva letto fino a quel momento. Non ricordava l’autore, ma ricordava perfettamente il titolo: era Per chi suona la campana.

Possibile? Pensando ad un errore, le feci raccontare la trama. Si trattava proprio del signor Hemingway. Confesso che la cosa mi intrigò moltissimo e che - da allora – ogni tanto ci penso e ripenso, cercando di capire? Che cosa potevano mai avere in comune, per quella persona, due autori che, a noi abituati a leggere, sembrano tanto diversi? Che cos’hanno in comune i libri di Mann e Hemingway che a noi sfugge? (perché il caso di quella signora non era affatto raro).

Risposi provvisoriamente a me stesso: hanno in comune la librosità. L’essere libri, insomma. Due libri diversissimi agli occhi dei lettori abituali, sono molto simili agli occhi di chi lettore non è. Ma simili come? Riflettendoci, penso di aver trovato una risposta: sono equidistanti dalla vita.

Vale a dire: entrambi lontanissimi. Per chi non è abituato a leggere, i libri sono tutti molto simili fra di loro come per tutti noi soni simili le stelle. Siamo così lontani dalle stelle che non vediamo le differenze. E i libri sono così lontani dalla “vera vita” da parer molto simili fra loro a chi è abitualmente immerso nella vita ma non nella letteratura (e sappiamo che è un bel po’ di gente).

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Il testo qui riprodotto è parte di un più ampio articolo dal titolo Sulla librosità, dal numero di febbraio 1980 da "La lettura". In quell'anno la rivista, presa in carico dalla Milano Libri, fu affidata alla direzione di Oreste del Buono, che le diede un piglio più agile e perfino sbarazzino. Ricordava "Linus" non solo per il formato, la fumettistica immagine di copertina e la grafica, ma anche per la regolare collaborazione di disegnatori come Altan, Staino e Toppi. Cesarani, un creativo a tutto campo (spazia dalla pubblicità al design ai libri per ragazzi) ogni mese vi pubblicava un articolo sui libri (produzione, lettura etc). Questa riflessione mi pare molto acuta, degna di approfondimento.

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