23.6.10

Tomasi di Lampedusa, antisemita.


Nel riguardare vecchie riviste, in un “alias” del 27 gennaio 2007 trovo sotto il titolo Lettere alla Pickwick la recensione (di Raffaele Manica) di un libro uscito qualche mese prima per Mondadori, Viaggio in Europa. Epistolario 1925 – 1930 di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'autore de Il Gattopardo. Vi si spiega come quelle giovanili lettere fossero state a lungo conservate in cassapanca e chiamate “le Lampedusa” dai cugini Piccolo, i baroni di Capo d’Orlando, la botanica Giovanna, il poeta Lucio e il pittore Casimiro, che vivevano come reclusi nel loro palazzo di provincia, con qualche libera uscita a Palermo, ove i due maschi frequentavano l’aristocratico circolo “Bellini”.
In realtà la prima edizione, di gran lusso, per le Edizioni del Senato fu curata da Silvio Berlusconi Editore. Disperse, le lettere erano state recuperate dall’amico fraterno dell'allora presidente del Milan, Marcello Dell’Utri, un palermitano complicato e misterioso, bibliofilo, sportivo, membro dell’Opus dei e già condannato come mafioso dai Tribunali, quello stesso Dell'Utri che mise in contatto il caro Silvio con gli ambienti palermitani che contano e gli raccomandò per il ruolo di stalliere ad Arcore il boss Mangano.
Dell’Utri racconta di uno sconosciuto milanese che gli propose uno scambio: in cambio di un contratto in Rai o a Mediaset gli avrebbe regalato le lettere, che aveva trovato in un camioncino che le portava al macero, durante lo sgombero di una villa nobiliare a Palermo. Chissà se è vero. Il critico letterario e musicologo Gioachino Lanza Tomasi ha comunque autorizzato la pubblicazione in qualità di erede, spiegando che ai Piccolo erano state rubate nei primi anni 60 dai rapinatori insieme a diversi dipinti, alla cassapanca, ad altri mobili e presiose suppellettili.
Il viaggio di cui il titolo parla è evidentemente molto letterario, perché è dalla letteratura che Tomasi si lascia guidare nel suo lungo andare, ma anche perché le lettere, firmate il Mostro, e indirizzate a quelli che chiama i Porci per il loro epicureismo, sono costruzioni letterarie. Lo stesso viaggio è una sorta di letterario rovesciamento: l’Italia e la Sicilia erano stati parte essenziale del Gran tour mediterraneo da parte degli intellettuali nordeuropei e centroeuropei; il giovane principe va a visitare i luoghi onde costoro erano partiti.
Lo stesso titolo scelto dagli editori per il libro è mutuato dal Viaggio in Italia di Goethe, immagino con buone ragioni. Le lettere sono costruite, come dice Manica, sui modelli di Stendhal, Chesterton e Dickens. Mi pare confermato da quelle che ho udito leggere da Dell’Utri nella presentazione meneghina del 4 dicembre 2006 presso “Il circolo di Milano”, tuttora conservata da Radio Radicale (http://www.radioradicale.it/scheda/212694/viaggio-in-europa ). Acuta mi pare poi, nella recensione su "alias" l’osservazione secondo cui il pubblico per cui il Mostro si mette in scena e mette in scena l’Europa non sono solo i cugini ma altri colti aristocratici Palermo che essi incontrano al Bellini e ai quali leggono o raccontano le lettere.
Per farsene un’idea basta questo brano di una lettera da Roma, descrizione del Regio Senato, ormai ridotto dal regime a mero orpello: “Fra tutti i senatori, credo, si raccoglierebbero non più di mille capelli, ma in compenso una vera foresta di stampelle e una montagna di cinti erniari. In compenso l’impressione è di un “super-Bellini” tanto più ambito in quanto i soci sono pagati invece che paganti”. Nelle lettere che ho ascoltato e in quelle che ho ritrovato nella rete ci sono altri riferimenti politici: una ricorrente paura del bolscevismo, una grande ammirazione per Mussolini. Era perciò grande il sussiego con cui nella presentazione Dell’Utri sottolineava il violento anticomunismo del Lampedusa. Ma c’è anche, nelle lettere, un antisemitismo che non può ridursi a mera caricatura e giustificarsi in quanto tale. E', oltre che disgustoso, anche volgarissimo.
Eccone un campione.(S.L.L.)
Ritratto di Asher Wertheimer
In una lettera da Londra del 10 agosto 1927, Tomasi racconta di aver visto alla Tate Gallery i ritratti dei membri della famiglia Wertheimer, commissionati a Sargent, un celebre ritrattista. Asher Wertheimer, ricco e rispettatissimo mercante d’arte ebreo londinese, successivamente li aveva donati a quel museo. Ecco cosa scrive il Mostro, che nulla sapeva di Asher e della sua famiglia:
“…..questi ritratti non soltanto parlano, ma dicono cose che i modelli non avrebbero mai osato confessare. Papà Wertheimer (chiunque egli sia) emerge in “redingote” da un fondo tenebroso come doveva essere l’origine della sua fortuna, con la più ridente e perversa faccia di filibustiere che esista; Mamà Wertheimer ingioiellata, tenta con le labbra sottili e il vestito nero di fare la gran dama, puzzando di Ghetto a cento miglia. Fra le figlie si ammirano tutte le variazioni della ricchezza corrotta: una, brutta e intellettuale con gli occhiali e la biacca potrà diventare a volontà teosofa o anarchica dilettante; l’altra è la vaccona di buon umore, profumata e sudicia e incontrovertibilmente amante del suo “chauffeur”; e nello stesso quadro si vede anche un odioso fratello, un giovanotto sedicenne, certo con le mani sudate, l’aria arrogante e melensa e sportiva; mi duole di dire con un’acuta somiglianza con Raimondo Arenella. […] Il bello è che la serie di ritratti sono stati donati alla galleria dal signor Wertheimer in persona, beatamente inconscio della eterna onta alla quale si espone; perché nel suo ritratto la parola “ladro” si legge come se fosse scritta a lettere scarlatte”.
Il giovane principe scrive anche di peggio, se possibile, in una lettera da Berlino del 13 agosto 1930:
“L’altro giorno, passando da Kauno (città della Lettonia ndr), la stazione era zeppa di popolino ebreo venuto a un compaesano ritornante in America; era uno spettacolo di alto grottesco: le donne che somigliavano a Mah-Jong, gli uomini identici ai più bei Cupane e ai più rimarchevoli Ziino (nomi di famiglie siciliane che si distinguevano per i nasi adunchi, ndr), la inverosimile “grascia” (sporcizia, untume, in siciliano ndr) dei lunghi cappotti verdi, il sudore che scorreva sotto i riccioli impomatati, il puzzo caprino, le acutissime grida orientali quando si mosse il treno, le donne che cadevano a terra battendo l’aria con i piedi, la straordinaria intensità di vita che emanava da quegli occhi lucidi, spiegarono al Mostro molte cose, e anche i periodici massacri eseguiti, proprio a Kauno, dai saggissimi Russi”.
In una delle due edizioni, non ricordo quale, la parola “saggissimi” è saltata e Dell’Utri se ne lamentava nella citata presentazione. La manifestazione della saggezza cui qui si allude sono chiaramente i pogrom.

2 commenti:

Ivo Flavio Abela ha detto...

Ironia della sorte digitale... Cerco su Google i ritratti dei Wertheimer e m'imbatto in questo suo articolo. Sto proprio concludendo la lettura del libro "Il Principe fulvo" di Salvatore Silvano Nigro (Sellerio), in cui si parla ampiamente dell'epistolario tomasiano. Vi si riportano proprio i passi da Lei citati. Di chi era l'articolo di cui Lei parla? Forse dello stesso Nigro?

Un saluto da Gela e da chi L'ha conosciuta personalmente nel 1987, in quanto maturando durante una sessione di esami alla quale Lei prendeva parte come commissario di Italiano.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Grazie per la segnalazione della lacuna, cui ho rimediato, e tanti affettuosi saluti. Salvatore Lo Leggio

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