9.10.10

L'Assemblea di Atene (da "La democrazia degli antichi e dei moderni" di Moses Finley)

Copia ellenistica della statua ateniese dei Tirannicidi, Museo nazionale di Napoli
Sarebbe facile obiettare sull’irrazionalità del comportamento della folla in una riunione all’aperto, influenzata da oratori demagogici, in preda a un patriottismo sciovinistico eccetera. Ma sarebbe un errore ignorare il fatto che la votazione assembleare a favore dell’invasione della Sicilia era stata preceduta da un periodo di intense discussioni, nei negozi e nelle taverne, in piazza e a tavola durante la cena; una discussione cioè tra i medesimi uomini che alla fine si riunirono per il dibattimento formale e per il voto.
Quel giorno ognuno di coloro che sedevano nell’Assemblea conosceva personalmente e spesso intimamente un gran numero di altri votanti, suoi colleghi nell’ambito dell’assemblea stessa, e conosceva forse anche alcuni oratori del dibattimento. Era quindi una situazione completamente diversa dall’attuale, in cui il singolo cittadino s’impegna di tanto in tanto – insieme con milioni di altri e non solo a fianco di qualche migliaio di vicini – nell’atto impersonale di tracciare un segno sulla scheda elettorale o di manovrare alcune leve della macchina per votare.
Inoltre, come Tucidide disse esplicitamente, in quei giorni molti votavano per partecipare personalmente alla campagna, nell’esercito o nella marina. Il fatto stesso di ascoltare un dibattito politico avendo in mente uno scopo del genere doveva suscitare un preciso interesse nell’animo dei partecipanti e non vi è dubbio che conferisse a quel dibattito quel realismo e quella spontaneità che forse un tempo caratterizzava anche i nostri parlamenti ma di cui oggi, come è noto, essi sono del tutto privi.
In base a quest’ultima considerazione la mancanza di interesse per la democrazia ateniese ostentata dai politologi contemporanei potrebbe anche sembrare giustificata. E’ certo che sotto il profilo costituzionale non c’è nulla da imparare; le esigenze e le norme dell’antico sistema greco non hanno nulla a che vedere con i nostri problemi.
Tuttavia la storia costituzionale è un fenomeno che rimane in superficie. Gran parte della densa storia politica statunitense del XX secolo si trova fuori dalla sfera della “educazione civica” che fui costretto a studiare a scuola. E ciò vale anche per quella dell’antica Atene.
Grazie al sistema di governo che ho brevemente descritto, Atene riuscì a essere per quasi duecento anni lo stato più prospero, più potente, più stabile, internamente più pacifico e di gran lunga più ricco culturalmente di tutto il mondo greco…. Anche se l’assemblea votò l’invasione di un’isola della quale non conosceva né la grandezza né la popolazione il sistema funzionava.
“Neppure la povertà è un impedimento – pare che abbia detto Pericle in un discorso commemorativo dei caduti di guerra (Tucidide II, 37,1) – poiché per quanto oscura possa essere la sua condizione, un cittadino può comunque essere utile alla sua polis”. La diffusa partecipazione pubblica agli affari dello stato – compresa quella dei “falliti, degli emarginati sociali, degli economicamente instabili, degli incolti – non condusse a “movimenti estremisti”. E’ provato che di fatto il diritto di parola nell’Assemblea, dove discorsi stolti non erano tollerati, era esercitato da pochi; la condotta assembleare riconosceva l’esistenza della competenza politica e tecnica e in ciascun periodo faceva assegnamento su un esiguo numero di uomini che tracciavano le alternative politiche tra le quali operare una scelta. Tuttavia la prassi differiva totalmente dalla posizione elitista formulata da Schumpeter: “Il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”.

Nota
Moses Finley, in questo breve brano tratto da La democrazia degli antichi e dei moderni, Mondadori, 1992, prende spunto da una celebre riunione dell’Agorà ateniese a proposito della spedizione in Sicilia durante la guerra del Peloponneso, raccontata con ampiezza di particolari da Tucidide, per delineare i caratteri della democrazia ateniese. Essa, come è noto, escludeva le donne e le persone di condizione servile; ma, nella lettura che ne fa Finley, era assai meno elitaria delle moderne democrazie rappresentative. E’ molto importante la sottolineatura finale con la citazione di Schumpeter: Finley non nega affatto il ruolo dei leader, ma oggetto del confronto popolare nella piazza della polis democratica resta la “decisione” e non la delega a questo o quel “decisore”.

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