31.10.10

Le conseguenze economiche di Bettino Craxi (di Sandro Brusco)

Sandro Brusco è docente di Economia alla State University of New York at Stony Brook. E’ redattore, insieme ad altri economisti, del blog noiseFromAmerika, da cui è tratto questo post, del 20 gennaio scorso.
In questo post voglio concentrare l'attenzione sull'operato di Craxi in campo economico. Ignoro quindi le sue vicende giudiziarie e gli aspetti di moralità pubblica connessi al suo operare, non perché non siano importanti (secondo me sono fondamentali) ma semplicemente perché è meglio una cosa alla volta. Quello che voglio fare è invece mostrare quanto sia stata disastrosa la sua azione di politica economica e quanto tale disastrosa azione abbia giocato un ruolo fondamentale nel porre l'Italia su un sentiero di stagnazione e regresso economico e sociale.
La valutazione, anche solo in termini di politica economica, di un politico o di una fase politica è sempre difficile, dato che molti fattori al di fuori del controllo politico contribuiscono, nel bene e nel male, alla determinazione dei risultati economici. Esiste però un'area in cui l'influenza della politica appare chiara e facilmente analizzabile, che è quella della finanza pubblica: livello generale della spesa, della tassazione e del debito. Su tali variabili concentrerò quindi l'attenzione per mostrare quanto straordinariamente cattive siano state le scelte dell'Italia nel periodo di maggiore influenza craxiana.

Il periodo considerato
Craxi ascese alla guida del Partito Socialista nel luglio del 1976. Erano state appena celebrate le elezioni politiche del giugno 1976, che avevano visto una forte avanzata del PCI e una sostanziale tenuta del PSI, che raccolse il 9,6% dei voti. La legislatura iniziata nel 1976 si concluse nel 1979 e fu caratterizzata dai cosidetti governi delle larghe intese, governi monocolore democristiani sostenuti dall'astensione o dal voto favorevole del PCI e degli alleati tradizionali della DC. Durante quel periodo l'influenza di Craxi fu relativamente limitata, dato che l'ampio schieramento parlamentare a sostegno del governo limitava il potere di contrattazione del PSI. L'influenza di Craxi diviene molto maggiore a partire dalle elezioni politiche del 1979. Ad esse fece seguito il ritorno del PCI all'opposizione e la costituzione dei governi cosidetti ''di pentapartito'' , imperniati sull'alleanza DC-PSI con l'aggiunta più o meno organica di PSDI, PRI, PLI. Tale fase durò fino alle elezioni del 1992 e durante questo periodo vennero celebrate elezioni politiche nel 1983 e nel 1987. In tutto il periodo la composizione numerica del parlamento fu tale che i voti del PSI risultarono sempre determinanti, ossia non era possibile per gli altri 4 partiti del pentapartito formare un governo senza il PSI. Questo diede a Craxi un enorme potere negoziale, che egli usò per ottenere posizioni influenti di governo e sottogoverno. Il picco di tale influenza fu raggiunto nella legislatura 1983-1987, quando Craxi ottenne la poltrona di primo ministro. Con le elezioni del 1987 il PSI raggiunse il massimo storico dei voti, con il 14,27%. La fine della influenza politica di Craxi inizia con le elezioni del 1992. Il PSI ottenne un rispettabile 13,62% ma il crollo della DC e l'affermazione della Lega Nord resero difficoltosa la riproposizione del pentapartito. Le difficoltà del bilancio pubblico, l'incalzare delle azioni giudiziarie e i referendum del 1993 (in particolare quelli sulle leggi elettorali) fecero il resto.
Considereremo quindi l'andamento dei principali aggregati di finanza pubblica nel periodo 1980-1992, durante il quale Craxi giocò un ruolo importante nella determinazione della politica economica, con particolare attenzione al quadriennio 1983-1987.

La finanza pubblica prima di Craxi
In diversi aspetti, l'Italia giunse al 1980 già esausta. Il lungo periodo di crescita del dopoguerra si era essenzialmente bloccato all'inizio degli anni '70. A fronte della riduzione nei tassi di crescita del reddito, però, le classi dirigenti dell'epoca non riuscirono, o non vollero, bloccare la crescita della spesa pubblica. La pressione fiscale rimase relativamente bassa e stazionaria fino al 1976 e crebbe leggermente durante il periodo della ''solidarietà nazionale'', ma rimase comunque sempre ben al di sotto della spesa primaria. L'aumento della spesa pubblica venne quindi finanziato con debito. L'Italia iniziò il suo cammino verso un sempre più alto indebitamento pubblico, giungendo al 1980 con un rapporto debito/PIL pari al 56,9%.
Il paese si trovò particolarmente esposto alla recessione mondiale dell'inizio degli anni '80, periodo caratterizzato da alti tassi d'interesse. Dato il livello del debito, il pagamento degli interessi iniziò a essere una parte sempre più rilevante del bilancio pubblico, nel 1980 tale componente di spesa risultò pari al 5,6% del PIL. È in questo scenario che inizia l'era Craxi.
Visto il livello raggiunto dal debito pubblico alla fine degli anni '70 l'aumento dei tassi di interesse rischiava di innescare una spirale esplosiva. Maggiore spesa per interessi causava maggiore debito, che a sua volta provocava maggiore spesa per interessi etc. Per contrastare tale dinamica era quindi necessario iniziare ad avere avanzi primari di bilancio, ossia entrate tributarie superiori alla spesa al netto di interessi. Tali avanzi dovevano essere utilizzati per pagare la maggiore spesa per interessi, stabilizzando il rapporto debito/PIL e iniziando un percorso di rientro. Non stiamo qui parlando di scelte politiche, ma di mera compatibilità finanziaria. Né gli stati né gli individui possono infatti continuare a lungo a spendere più di quello che guadagnano. Le scelte politiche dovevano invece riguardare il modo in cui raggiungere l'equilibrio di bilancio, ossia mediante quale combinazione di tagli delle varie voci di spesa e aumenti delle varie entrate.
Questo non fu quello che successe. Negli anni '80 i governi italiani imboccarono senza esitazione la via dell'irresponsabilità, abdicando completamente ai loro doveri nei confronti dei governati. In una decade il rapporto debito/PIL crebbe fino a superare il 100%. Totalmente incapaci di ridurre la spesa, i governi ad influenza craxiana fecero aumentare in forma brutale anche la pressione tributaria. Ma vediamo più nel dettaglio l'andamento dei principali aggregati di finanza pubblica.

La spesa pubblica nell'era Craxi
Durante l'era Craxi la spesa primaria continuò ad aumentare, passando dal 36,9% nel 1980 al 41,7% del 1983, restando poi intorno al 42-43% fino al 1992 (dati Istat, si veda il prospetto 1). Questi numeri però vanno valutati anche in riferimento all'andamento del ciclo economico. Il periodo 1980-1983 fu infatti caratterizato a livello internazionale da una recessione che colpì duramente anche l'Italia. Per dato tasso di crescita della spesa è logico che il rapporto spesa/PIL cresca quando il PIL si riduce (come nel 1980) o cresce poco. Incidentalmente, l'espansione della spesa durante quel periodo, la classica ricetta ''keynesiana'' per le recessioni, non sembra aver sortito grossi effetti sulla crescita.
Quando Craxi prende le redini del governo, nel 1983, ha la fortuna di trovarsi di fronte a un mutamento favorevole del ciclo internazionale. La crescita, anemica fino a quel momento, inizia a divenire robusta più o meno in tutti i paesi sviluppati. Era quello quindi il momento di iniziare il rientro dagli eccessi di spesa. Craxi e il suo governo non fecero nulla di tutto questo. Al contrario, essi accelerarono la dinamica della spesa in corrispondenza della più vivace dinamica del reddito, mantenendo invariato il rapporto spesa primaria/PIL.
Nel frattempo cresceva la spesa per interessi, indotta dai sempri più alti livelli di debito. Come conseguenza, il rapporto tra spesa totale e PIL crebbe di circa 10 punti tra il 1980 e il 1987, anno in cui Craxi cessa di essere primo ministro, collocandosi al di sopra del 50% del PIL.
Questi sviluppi ebbero effetti di lungo corso per l'economia italiana, effetti che paghiamo duramente ancora oggi. La spesa primaria in rapporto al PIL è rimasta grosso modo ai livelli a cui la portò Craxi; la flessione del periodo 1994-2000 viene in seguito "recuperata" proprio dagli eredi politici di Craxi. Gli anni di Craxi furono quindi il momento cruciale di consolidamento del potere della casta sull'economia. Fasce sempre più larghe della popolazione divennero dipendenti dalla politica per il proprio reddito e il proprio benessere. I politici espansero così in modo sostanziale il proprio potere che è oggi molto maggiore di quanto fosse alla fine degli anni '70, quanto Bettino Craxi iniziò a "cambiare" l'Italia.

La pressione fiscale nell'era Craxi
Incapaci di controllare la spesa primaria, e con una spesa per interessi in costante crescita, i governi degli anni '80 decisero di alzare in modo drammatico la pressione fiscale. Nel periodo 1980-1992 l'aumento fu di più di 10 punti di PIL, passando dal 31,4% al 41,9% (si veda il prospetto 5). Buona parte dell'aumento fu dovuto all'incremento delle imposte dirette, favorito dalla struttura progressiva dell'imposizione e dagli alti tassi di inflazione. Gli effetti di disincentivo al lavoro e alla produzione di mercato sono ovvi.
Il selvaggio aumento della tassazione portò infine a un raggiungimento di un avanzo primario. Il saldo primario fu pari a zero nel 1991 e divenne positivo nel 1992 (prospetto 1). Ma a quel punto il debito era diventato così alto che comunque la spesa per interessi portava il bilancio in disavanzo.

Il debito pubblico nell'era Craxi
Come già osservato, durante l'era Craxi la spesa (persino la sola spesa primaria) restò costantemente al di sopra delle entrate. Questo provocò un'esplosione del debito pubblico. Il rapporto debito/PIL, pari al 56,9% nel 1980, balzò al 68,9% nel 1983. In questi anni Bettino Craxi acquista rapidamente potere: un processo che si corona nei 4 anni successivi in cui fu primo ministro. Durante quei 4 anni il rapporto debito/PIL crebbe di ben 20 punti percentuali, giungendo nel 1987 al 88,5%. Come si ottenne tale incremento è presto detto. Il disavanzo di bilancio durante il periodo 1980-1992 fu in media pari al 10,8% del PIL, un livello assolutamente scandaloso. La media degli anni 1984-1987, quando Craxi fu primo ministro, fu ancor più scandalosa: 11,4%. È difficile oggi credere che si potesse essere tanto irresponsabili.
Dato il buon tasso di crescita del PIL durante il periodo, la responsabilità di questo disastroso aumento è tutta e interamente politica ed è da addebitare a Craxi in primo luogo. Avendo sperperato le proprie risorse nei periodi delle vacche grasse, il bilancio pubblico subì un altro duro colpo con la recessione dell'inizio degli anni '90. Anche se a quel punto il bilancio era vicino all'avanzo primario, il debito era ormai alimentato dalla spesa per interessi, che giunse a superare il 10% del PIL. Il rapporto debito/PIL raggiunse il 105,2% nel 1992, il 115,6% nel 1993 e il 121,8 nel 1994. È solo a partire da quell'anno che la situazione si stabilizza, in parte grazie a un aumento della pressione tributaria ma soprattutto grazie alla riduzione internazionale dei tassi d'interessi e all'agganciamento dell'Italia all'area dell'euro.
E questa è la situazione in cui siamo oggi. Il bilancio pubblico resta straordinariamente fragile. Dato l'enorme livello di debito accumulato, un incremento dei tassi d'interesse (che al momento sono a livelli storicamente molto bassi) rischia di produrre disastri per l'economia italiana.

Conclusione
L'influenza di Craxi, che ci fu, non va peraltro esagerata. Le sue politiche demenziali e irresponsabili furono possibili solo grazie alla complicità dell'intera classe dirigente dell'epoca. Essa abdicò completamente alle proprie responsabilità mettendo l'Italia su un sentiero di insolvenza: non c'era solo Craxi, c'erano de Mita e Forlani, Andreotti e Formica, De Michelis e Merloni ed Altissimo e Longo ... e la CGIL-CISL-UIL. Alla fine del periodo comparve anche Giulio Tremonti.
Grazie all'operato di costoro e dei loro soci, l'economia italiana venne trasformato in una cosa che possiamo chiamare ''socialismo per i furbi'', ossia vasta presenza statale, prebende per i potenti e i politicamente connessi, pesante tassazione per tutti gli altri. Anche se i vincoli di bilancio impedirono un peggioramento di questa tendenza negli anni '90, l'Italia si è ritrovata in una situazione di alto debito, alta spesa e alta tassazione dalla quale non è più riuscita a uscire e che ha sensibilmente ridotto il suo potenziale di crescita. Il socialismo per i furbi rimane ed ha pure acquisito il suo teorico nella persona di Giulio Tremonti.
L'argomento di chi afferma ''Craxi sarà stato anche disonesto ma ha fatto buone cose'' è quindi totalmente privo di base empirica, almeno per la politica economica. Al contrario, ciò che Craxi fece fu estremamente dannoso. Forse l'unica cosa buona che si può dire di Craxi è che non era particolarmente peggiore del resto della classe politica di quel periodo. Lui fu spazzato via da tangentopoli. Il resto della classe politica purtroppo no, e continua a far danni al paese. La visita dei vari ministri ad Hammamet è solo l'ultima testimonianza di questa tristissima verità.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non sono mai (e mai lo saro', sia bene inteso) un estimatore di Craxi, ma questo articolo e' un perfetto esempio di vulgata neoliberista travestita da analisi economica come crociata moralista.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

L'anonimo amico non si sbaglia del tutto: nell'articolo di Brusco sono ammantati di una pretesa di oggettività alcuni dei principi neoliberisti. E tuttavia porre il problema della qualità della spessa pubblica al tempo di Craxi, discutere delle rendite parassitarie e delle mance clientelari che determinò si può anche da sinistra, anche da posizioni modernamente keynesiane. Lo fecero - purtroppo inascoltati - nel 1995 Ingrao e Rossanda in un libro "Appuntamenti di fine secolo", che in pochi lessero e che nessuno provò a trasformare in proposte di politica economica e sociale.

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