9.8.15

Si può parlare di “renzismo”? (di Rino Genovese)

La risposta alla domanda è semplicemente no. L’attuale presidente del Consiglio non incarna una formula politica. La sua avventura (che, a conti fatti, potrebbe anche risultare breve) è stata costruita sul meccanismo perverso delle primarie del Pd – una delle trovate di marca plebiscitaria più inconsistenti, anche per il modo in cui sono organizzate, che la politica italiana ci abbia regalato. Non esiste nel paese un autentico retroterra sociale per il blairismo “2.0” che Renzi vorrebbe rappresentare. La sua opportunità – il modo veloce e quasi rocambolesco in cui è diventato capo di un governo di “piccole intese” – è stata offerta dalla impasse del dopo elezioni 2013, dovuta solo in parte alla legge elettorale, in realtà frutto degli errori della gestione Bersani che troppo a lungo tenne in piedi un governo tecnico come quello di Monti, finendo con il perdere consensi a favore del neoqualunquismo grillino (e dall’obiettivo intralcio istituzionale esercitato da Napolitano con la vicenda che portò alla sua incredibile rielezione).
Nella sostanza – la cosa appare in tutta la sua evidenza dopo la recente tornata elettorale regionale – Renzi è una figura anfibia. Per una metà, è la prosecuzione del berlusconismo (mai veramente superato, oggi soltanto in sordina a causa del suo leader invecchiato), con la personalizzazione, con il mito dell’uomo solo al comando, con il tentativo di modificare in senso presidenzialista l’ordinamento costituzionale, e così via. Per l’altra metà, si tratta della vecchia tecnica democristiana di costruire reti clientelari. La Campania, con il caso De Luca, è la regione simbolo di questo modo tradizionale di fare politica: ci si appoggia sui potentati locali (vedi il vecchio De Mita), si strizza l’occhio alla criminalità organizzata quando non si stringono patti con essa, ci si presenta come “mediatori” sul territorio, secondo l’analisi di Gabriella Gribaudi, nei confronti del potere centrale.
La doppia natura di Renzi non consente di parlare di un fenomeno o di un ciclo politico. Il “renzismo” semplicemente non esiste, il suo leader è una specie di uomo di fumo. Il completo menefreghismo nei confronti delle sorti del suo partito, costantemente sull’orlo della scissione, dimostra questo assunto. Ve lo immaginate un Blair senza il Labour? Un Renzi senza il Pd è invece perfettamente immaginabile: egli potrebbe diventare domani il leader pseudocarismatico di un’aggregazione neocentrista in cui ritrovarsi con gli amici del cosiddetto Nuovo centrodestra e della cosiddetta area popolare.
La politica italiana, da più di vent’anni, annaspa alla ricerca del suo salvagente democristiano. Il fatto che, dall’altro lato, come la tornata elettorale regionale ha drammaticamente indicato, ci siano soltanto l’astensionismo e il grillismo, per non parlare della destra estrema, e contrario è la riprova di ciò.


Il Ponte, luglio 2015

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