In un articolo pubblicato sul proprio
sito, poi ripreso su diversi blog letterari, il poeta umbro Enrico
Cerquiglini ha scritto: “Perché ti sei voltato di Walter
Cremonte è un piccolo grande libro: piccolo nelle dimensioni ma
grande per l’importanza che riveste nel cammino poetico dell’autore
e nel panorama letterario italiano contemporaneo”. Sono
assolutamente d’accordo e dico di più: il primo approccio può
ingannare, è un libro che non basta leggere, bisogna rileggere.
Credo che, rifacendo il verso ad uno dei più importanti libri di
critica del Novecento, si possa parlare a ragione di “nuova poetica
cremontiana”.
Il modello più importante del libro è,
infatti, l’ultimo Leopardi. Nulla nega infatti Cremonte della sua
precedente ricerca, anzi tutta la sussume nella sua nuova poesia che
delle sue memorabili raccolte (dalle prime Poesie d'amore,
Vedi che, a Me ne andavo guardando come tutto è bello
agli ultimi più radi e preziosi versi di Cosa resta), di
volta in volta, sa riproporci la tenerezza, l’ironia, la
leggerezza, la sorprendente capacità di guardare, udire, acchiappare
frammenti del mondo dintorno, di far miracoli con il riuso di
materiali poveri, l’orgoglio del “poeta di provincia” “minore”
e “in minore”. La novità è nel coraggio, nell’intransigenza
con cui il poeta guarda a un universo che non è soltanto “vuoto”
d’illusioni, e perciò “deserto”, “vano”, privo di senso,
come lo vedeva l’eroico recanatese, ma è nello stesso tempo pieno
di sozzura, anche troppo.
Montale è certamente tenuto presente,
ad esempio nella selezione dei luoghi (c’è un Lungo il Tevere
bellissimo, con le “buste di plastica”, certo, ma anche con un
suo incanto) o nel ragionare sul tutto e sul niente, ma è forte in
Cremonte il sospetto che quelle parole grosse, quel tutto e quel
niente servano a “imbrogliare la gente” e ciò spiega la
dichiarata cautela, il timore, la grazia ben educata (che ne espunge
la pressione ricattatoria) con cui sembra pronunciarle, quasi
chiedendo scusa. Montale è citato, ma anche demistificato nella sua
borghesissima menzogna: aveva cominciato con la preterizione (mentre
respingeva gli “squisiti” vegetali dei poeti laureati, li citava
tutti per nome), finì con il coccodrillo di se stesso (da
coccodrillo era del resto il suo “fottere e piangere”).
A Cremonte non piace l’autoironia se
è piagnucolosa, e anche per questo si lancia in una garbata, ma
demistificante parodia: “Cavallo no, ma il gatto / colpito a morte
/ su quella curva buia dell’Amiata: / il male di vivere che ho
incontrato/ (meglio sarebbe dire /il male di morire)”.Infine c’è
Penna, c’è soprattutto come rimpianto di quella voce che, in altri
tempi, ci diceva “il mare è tutto calmo”, frase poetica che non
riusciamo più né a sentire né a pronunciare, c’è come capacità
di lasciarsi andare, di quando in quando, al flusso dell’esistenza,
nel ridere, ad esempio, degli “operai” del cimitero, che ridono,
mentre passa il tempo, i fiori sfioriscono (ma solo “un poco”) e
giunge l’ora che non consola, ma almeno rassicura.
Andiamo per frammenti, mentre su questo
piccolo grande libro di Cremonte, sulle sue scelte di stile e le sue
idiosincrasie, andrebbe impiantato un discorso con tutte le virgole e
i punti e virgola, le citazioni, le note a margine e quelle a piè di
pagina. Ci vorrebbe Binni redivivo. Noi non siamo di certo
all’altezza, anche se qualcosa prima o poi tenteremo; ora però
proviamo a saggiarlo con un approccio coerente con il giornale su cui
scriviamo e che, ci auguriamo, invogli qualcuno a leggere Perché
ti sei voltato (non se ne pentirà!).
Nel libro c’è un dialogare continuo
con il padre, il figlio, Giovanna, la compagna di una vita, ma anche
e soprattutto con la propria giovinezza. È per questo che il libro
si chiude con una sorta di autoparodia, in cui il poeta che fa il
verso a se stesso. “Questa è una poesia d’amore/ e non puoi
farci niente /devi prenderla” scrive oggi Cremonte sulla scia di
quel “Questo, vedete, è un cuore/ e un cuore è un cuore:/ puoi
prenderlo...”, che stava nella copertina delle sue Poesie d’amore
1966-1968. Non è un caso. In quel libretto aveva scritto “E se
anche un mattino ci svegliassimo/ e con dolore dovessimo sapere di
non essere/ più giovani:/ chi potrebbe toglierci questo essere
andati nelle strade stringendo la mano nel pugno/ e sollevando sopra
le bandiere un lungo grido: Ho Chi Minh...”; e aveva chiuso la sua
lettera di dedica con un “Ti bacio tanto, tutto il potere al
popolo”; e a aveva parlato di “vivere rivoluzionariamente /
nell’attesa”.
Nonostante gli “anni pesanti” - e
il riferimento non è certo soltanto alla sua (nostra) vecchiezza -
tutto questo resta. Quando nella poesia premiale del nuovo libro di
Walter Cremonte, leggiamo : “Come quando ritorni a mani vuote/ in
quel vuoto c’è attesa/ nell’attesa c’è tutto, tutto”; o
quando ci lasciamo sedurre da versi come questi: “se tutto è
attardato e segreto, /il tuo sorriso è qui ma non si lascia/
prendere”; quando pensiamo alle “barche alla deriva” che “hanno
nomi e cognomi” (quelle dei nostri fratelli che muoiono cercando di
approdare alle coste italiane); allora ci ricordiamo quanto il nostro
amico Cremonte scrisse ormai vent'anni fa - su un “Pari e dispari”
che abbiamo perso in qualche trasloco - sull’identità tra la
poesia e il “principio speranza”. Ci viene facile a quel punto
pronunciare la parola perduta: “comunismo”.
“micropolis”, dicembre 2007
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