Appare in crisi il
“socialismo bolivariano del Venezuela. Perfino alcuni simpatizzanti
dicono che Maduro, l'erede di Chávez, non è all'altezza, che ai
tentativi di strangolamento economico sa rispondere solo con una
repressione che gli aliena simpatie e crea le condizioni per il
ritorno al potere di neoliberisti e amici degli USA, quelli stessi
che affamavano il popolo minuto del Venezuela, proprio mentre ne
sfruttavano le risorse. Non so dire quanto sia vero. Intanto riprendo
dal “manifesto”, a 5 anni di distanza, questa rievocazione
dell'insorgenza militare che lanciò politicamente Hugo Chavez (al
governo giunse più tardi per via elettorale).
VENEZUELA - CARACAS
In una piazza Caracas
recentemente restaurata uno schermo gigante rievoca i momenti
principali dell’insorgenza militare che, il 4 febbraio del 1992,
vide affacciarsi sulla scena politica il volto del tenente colonnello
Hugo Chavez Frias. A capo di un movimento clandestino, politico e
ideologico, denominato Mbr-200, il giovane ufficiale tentò di
rovesciare il governo di Carlos Andres Perez con un’operazione
denominata Ezequiel Zamora. Per parecchie ore, i suoi mantennero il
controllo in diverse città del paese: Valencia Maracaibo,
Barquisimeto e Maracay.
Tutto comincia a Caracas.
L’allora presidente, giunto il giorno prima nella capitale dopo un
lungo viaggio in Svizzera, viene informato dal ministro della difesa
circa l’esistenza di un possibile colpo di stato. Quando arriva a
Miraflores, un tank irrompe nel palazzo presidenziale travolgendo la
scorta In pochi minuti, Perez è costretto a fuggire. Dagli studi del
canale televisivo Venevision, il presidente informa i cittadini di
quanto sta accadendo, mentre gli insorti dirigono le operazioni dal
Museo storico militare di La Planicie e dalla base aerea
Generalissimo Francisco de Miranda nella Cariota. Dopo poche ore, il
governo nazionale riprende il controllo del paese e il presidente
Pérez ritorna a Miraflores. Un’ora dopo torna in tv per informare
dell’esito il paese. Il tenente colonnello Chavez depone le armi e
viene arrestato dai militari fedeli al governo insieme ai suoi
ufficiali. Anche il tenente colonnello Arias Cardenas, attualmente
deputato all’Assemblea nazionale per lo stato di Zulia che guidava
l’azione a Maracaibo, depone le armi. Prima di andare in carcere,
Chavez appare in televisione e si assume la responsabilità
dell’accaduto: «L’insurrezione è fallita per ora». E con quel
profetico «por ahora» entrerà nella storia politica
venezuelana «In un paese poco abituato all’assunzione di
responsabilità da parte dei politici, quel comportamento rimase
impresso - dice oggi al manifesto il professor Andres Bansart,
intellettuale di lungo corso della politica venezuelana -. Dopo,
mentre Chavez era in carcere, il movimento Mbr-200 ingrossò le sue
fila Ricordo che allora durante il carnevale, le mamme vestivano i
bambini con la divisa di Chavez». Da ieri, in tutto il Venezuela si
festeggia quel 4 febbraio.
Nella biblioteca
nazionale della capitale, una mostra (una parte della quale è
dedicata ai bambini) ne ricorda le tappe e il secondo tentativo che
prese forma il 27 novembre di quell’anno. Una rivolta contro
l’agonizzante patto di Punto Fijo - il sistema di alternanza fra i
due principali partiti, Accion Democratica (centrosinistra) e Copei
(centrodestra) che escludeva dal potere il Partito comunista -
siglato dopo la fine della dittatura militare di Perez Jimenez
(1958). Già il 27 febbraio 1989, la rivolta popolare denominata il
«Caracazo» aveva detto la sua contro le misure neoliberiste di
Carlos Andrés Pérez, appena rieletto con grande maggioranza.
Durante i due mandati del socialdemocratico Pérez, i piani di
aggiustamento strutturale imposti dal Fondo monetario internazionale
avevano ridotto in miseria circa l’80% della popolazione. Da allora
intorno a Chavez si coagulò un vasto arco di forze in cerca di
alternativa, comunisti, ex guerriglieri, movimenti di resistenza
contadina e scuole occupate, e soprattutto ufficiali democratici che
avevano condiviso con Chavez il «giuramento di Bolivar»: in memoria
del Libertador e del suo sogno di indi-pendenza per l’America
latina che intendevano riprendere. Chavez, liberato nel 1994, verrà
eletto presidente del Venezuela nel 1998.
Ora dal teatro Catia in
Piazza Sucre, nella capitale, il presidente - con gli occhiali, ma
con i capelli di nuovo folti dopo il cancro che lo ha colpito alla
prostata l’estate scorsa - torna a parlare al paese: «Siamo un
popolo formidabile», dice al mare di camicie rosse che gli pone
domande sul prosieguo del «pròceso bolivariano». Intanto, nei
quartieri come la Candelaria i deputati di opposizione volantinano
per le loro primarie nelle feste religiose, fra incensi e santini del
santo patrono. Il 7 ottobre ci saranno le presidenziali.
“il manifesto”, 4
febbraio 2012
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