Chissà se qualcuno si
ricorda ancora del “metodo Mattei”. Conviene non dimenticarsene,
tanto per dare maggiore prospettiva storica alla vicenda di Tempa
Rossa che sta agitando la politica italiana.
Il “metodo Mattei”
viene sperimentato, sin dal primo dopoguerra, proprio sulla questione
della costruzione delle infrastrutture di trasporto dell’energia.
Il caso Agip
Tutto parte dal fatto che
le fonti energetiche, con pochissime e virtuose eccezioni, hanno la
pessima abitudine di non trovarsi - quasi mai - nel posto giusto. Da
qui la complicata faccenda di doverle portare a destinazione.
Per Mattei la questione
si pone quando, invece di sciogliere l’Agip che gli è stata
affidata dopo la Liberazione, non solo disobbedisce agli ordini di
Roma e ai desiderata degli anglo-americani, ma la potenzia. È
fortunato e inciampa in importanti giacimenti di metano nella pianura
padana. Il gas naturale, come fonte energetica, è allora poco
utilizzato e Mattei, convinto che l’approvvigionamento energetico
stia alla base dell’autonomia di una nazione, apre la strada alla
metanizzazione dell’Italia, con trent’anni di anticipo rispetto
al resto dell’Europa Occidentale.
La campagna nel
Terzo Mondo
Pochi anni dopo, fondato
nel 1953 l’Eni, la metanizzazione si affianca alla spregiudicata ed
efficace politica petrolifera condotta da Mattei nel Terzo Mondo,
dove è in corso la decolonizzazione. Probabilmente le ostilità
delle “sette sorelle” che dominano il mercato petrolifero e i
sussulti geostrategici di scacchieri quali il Medio Oriente e
l’Africa, l’Iran e l’Urss, a Mattei sembrano poca cosa dopo gli
ostacoli affrontati in patria, quando ha iniziato a stendere i primi
gasdotti (attualmente si snodano per 30.000 km) lungo la penisola.
Dopo i primi tentativi, il pur potente presidente dell’Eni capisce
che rischia di dover attendere anni, forse decenni, prima di poter
procedere: un’immane burocrazia blocca le opere, chilometro dopo
chilometro.
Il “metodo Mattei” –
lo racconta Giuseppe Accorinti, assunto in Eni direttamente da
Mattei, nel libro Quando Mattei era l'impresa energetica. Io
c’ero, (Hacca edizioni, 2008) – nasce in quegli anni.
Funziona così: quando in una località la burocrazia blocca i
lavori, tecnici, operai e mezzi del cane a sei zampe si posizionano,
nottetempo, fuori dal paese.
L'invasione degli
scavatori
A questo punto arriva una
scena da Amici miei, perché, in Italia, la realtà supera
sempre la narrazione, persino quelle del grande schermo. A un cenno
di Mattei – che ci tiene ad essere presente alle operazioni – si
accendono i riflettori. Ruspe, scavatrici, camion avanzano. Un
frastuono assordante. Gli abitanti, svegliati all’improvviso,
aprono le finestre e vedono le squadre che scavano, allargano,
procedono. Il sindaco della località “invasa”, a questo punto,
esce dal letto, si riveste e, in ciabatte, arriva ad affrontare gli
invasori. Intima di interrompere i lavori, chiede autorizzazioni e
vidimazioni: Mattei lo fronteggia. Spiega il motivo dei lavori,
sottolinea urgenze e necessità. Poi, però, quasi colto dal dubbio,
tace. Sembra quasi pentito, vicino ad ordinare il dietrofront alle
sue squadre.
L'arte della
persuasione
Al sindaco che lo
fronteggia non pare vero, per un attimo, di aver sconfitto il potente
Mattei. Poi gli viene un dubbio. Si ritirano? E la strada, chi la
sistema? E la voragine, chi la chiude? Mattei si stringe nelle
spalle. Borbotta qualcosa a proposito di permessi necessari, trafile
burocratiche. Certo, se gli lasciano posare le maledette condotte del
metanodotto, questione di poche ore, tutto verrà sistemato.
Avrete già capito come
finisce la storia. Il sindaco, maledicendo metano e Mattei, intima di
riprendere all’istante i lavori e di non interromperli fino al più
totale compimento.Il “metodo Mattei” tagliava lungaggini e andava
dritto alla meta. Così, dopo la metanizzazione, viene adottato anche
per gli oleodotti. Ad esempio quello che parte da Genova e raggiunge
Ingolstadt, sulle rive del Danubio, in Baviera. Un lungo percorso che
fora le Alpi all’altezza dello Spluga, attraversando – senza
produrre rischi ambientali – quel lago di Costanza al quale la
Svizzera attinge acqua potabile. Altri tempi, ovviamente.
La mutazione
genetica dell'ENI
Perché poi, scomparso
Mattei e cambiata l’Italia, l’Eni muta a poco a poco pelle:
diventa la quinta major petrolifera del mondo e, al tempo
stesso, una sorta di Stato parallelo dentro la nostra Repubblica. E
questa è la storia, ancorata all’ultimo quarto di secolo, che
Andrea Greco e Giuseppe Oddo raccontano ne Lo Stato parallelo. La
prima inchiesta sull’Eni, (Chiarelettere editore, 2016): un
saggio documentatissimo che fa onore al giornalismo economico e
investigativo italiano. Una ricostruzione densa di primattori e
comprimari, di galantuomini (pochi) e gaglioffi (quanto basta,
comunque sempre troppi), di eventi politici presto dimenticati e
inciamponi giudiziari smarriti nelle cronache. L’elemento
irrinunciabile del lavoro di Greco e di Oddo sta nell’attenzione
che dedicano al “come”: ovvero alle modalità e, appunto, ai
metodi utilizzati dalle diverse leadership che si succedono alla
guida dell’Eni. A volte difendono efficacemente gli interessi
energetici del Paese in un mondo che sta cambiando. Più spesso,
invece, cercano di mettere il cane a sei zampe al guinzaglio delle
cordate che, attorno allo snodo centrale delle fonti energetiche,
combattono quella guerra per comandare (sugli altri) e arricchire (se
stessi) che, non solo in Italia, dura da sempre.
Pagina 99, 9 aprile 2016
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