Anni Quaranta. Franco Cerri alla chitarra, con Gorni Kramer e il Quartetto Cetra |
Ci voleva un libro per riportare all'attenzione della gente che legge
e che ascolta chi è Franco Cerri, eppure, come si direbbe in
determinate situazioni, in America uno come lui sarebbe un
chitarrista ultra famoso e milionario, altro che Pat Metheny.
Ma siamo in Italia, la repubblica del lambrusco e del prosciutto e di
tutto quello che, se non è assordante, difficilmente rimane a galla.
Poco male perché una persona come Franco Cerri sorride sempre alla
vita con quel suo modo un poco english, un poco napoletano di saper
vivere; fatto sta che un altro personaggio come Vittorio Franchini è
riuscito a tracciare uno dei ritratti più sinceri di Cerri (così
come in passato aveva fatto con Gorni Kramer) in un volume con
prezioso cd edito in una spaziosa e spaziale serie diretta dal
chitarrista Antonio Onorato per i tipi di Sigma Libri (Franco
Cerri: in punta di dita. Note inedite n. 5123 pag., euro 19,00).
L'occasione è stata ghiotta per scambiare quattro chiacchiere con il
maestro che come sempre si mostra sincero e umile e di una
disponibilità impressionante.
Qualche
anno fa facemmo una lunga ricostruzione del suo rapporto con Gorni
Kramer e mi piacerebbe riprendere quel discorso.
Gorni Kramer è stato sicuramente il mio maestro in tutti i sensi e
grazie a lui ho suonato tanto e con grandi personalità; ero molto
legato e gli sono stato vicino fino agli ultimi momenti e anche
quando era in ospedale aveva sempre quella bonomia e quella ironia
che lo ha reso così amabile. Ricordo sempre con piacere il nostro
primo incontro, infatti io con alcuni amici stavo strimpellando in un
cortile e tentavo di fare un poco di jazz nostrano; qualcuno ci disse
«guardate che sta arrivando Gomi Kramer per sentirvi», noi
naturalmente ci mettemmo a ridere perché non pensavamo che fosse
possibile, anche perché lui era già una grande invece eccolo
spuntare con i suoi baffi e il suo cappotto, mi si avvicinò e mi
chiese di suonare: ne uscì magicamente un duetto chitarra e
fisarmonica e da allora iniziò la mia amicizia e collaborazione con
lui. Mi ha sempre spronato a studiare, a migliorare, ma io ero
giovane, mi piacevano le ragazze e mi piaceva suonare soprattutto
quello che sapevo fare e forse per questo non ho mai preso lezioni di
chitarra anche se poi ho scritto due metodi, uno per la Fabbri e
l'altro con Ricordi.
Dalla mia amicizia con Kramer è nata un'altra grande amicizia,
quella con Gianpiero Boneschi, che considero come il vero amico del
cuore; ci siamo conosciuti tanto tempo fa quando nel gruppo di Kramer
suonava il pianoforte Giannini, il quale, a un tratto, decise di
tornare a Bari facendo sì che potesse subentrare Giampiero.
Lei
però non è solo amico di Boneschi ma nel tempo ha coltivato
amicizie con altri grandi musicisti.
Ho avuto molta fortuna nella mia vita di musicista e nel tempo ho
potuto collaborare con musicisti come Dizzi Gillespie, Lionel
Hampton, Martial Solal, Jean Luc Ponti, Lu Benet, Phil Woods; ma in
particolare per un puro caso ho avuto l'onore di stringere amicizia
con un pianista eclettico come Friederich Goulda che era osannato
dalla critica e dal pubblico della classica ma era inviso a quello
del jazz. L'incontro avvenne a Viareggio dove suonavo assieme a Gii
Cuppini, Oscar Valdambrini e Gianni Basso; una sera si avvicinò
questo signore e mi chiese di suonare il basso e nacque una
memorabile jam. Alla fine, dopo tanti sforzi gli chiesi chi fosse e
lui mi disse che era Friederich Goulda. Rimasi sorpreso e allibito
allo stesso tempo e comunque grazie a quel fortuito incontro, ebbi la
possibilità di divenire suo amico, anche se gli proposi subito di
averlo mio ospite, ma lui mi disse che purtroppo aveva impegni per
almeno due anni e che ci saremmo dovuti risentire.
Lei
è stato anche grande amico di Leonardo Sciascia...
Ho conosciuto Sciascia attraverso il pittore Cazzaniga, famoso per
essere un ritrattista di jazzisti, e la sera in cui lo conobbi ebbi
il piacere di complimentarmi per il fraseggio che trovavo nella sua
scrittura. Mi rispose che nella sua vita aveva letto almeno 2000
libri e grazie a quelle conoscenze era riuscito a creare il suo
«fraseggio» e questo mi ha fetta capire che bisogna ascoltare molto
per accumulare esperienze: sono molto felice quando le persone mi
dicono che riescono a riconoscere il mio modo di suonare, dal mio
suono, dal mio fraseggio, appunto.
Ricordiamo
la sua lunga esperienza con il mondo della radio e della televisione?
Sempre con Kramer ho fatto veramente tante cose, dischi, radio e
televisone, tant'è che già nel 1953 suonavo in «Arrivi e
partenze». La trasmissione che però mi è rimasta più impressa è
stata «Fine serata da Franco Cerri», sei puntate girate in una
ipotetica casa mia dove ospitavo i migliori jazzisti italiani. Ho poi
fatto «Chitarra e fagotto» dedicato ai bambini e trasmesso il
sabato pomeriggio e poi ricordo «Jazz primo amore» con Intra,
Kramer, Semprini, la Pizzi, che si era innamorata del jazz ma non ne
era molto convinta, tant'è che non riuscii a farla cantare in
televisione. Infine ricordo di aver condotto con Franco Fayenz «Jazz
in Italia e Europa» dove riuscii ad avere come ospite anche Goulda,
il quale era anche un bravissimo arrangiatore.
L'idea
del libro di Franchini come è nata?
È stato Antonio Onorato, che mi meravigliò con la sua richiesta di
a un libro su di me; per me l'unica persona che poteva mettere mani
nella mia vita era ed è è Vittorio Franchini che è stato così
bravo a raccogliere notizie, memorie e foto e realizzare un lavoro
che non avrei mai immaginato. In verità già in passato ero
rientrato in un volume sulla resistenza a Milano scritto dalla
giornalista Ferri; mi ricordo che narrai tutto quel periodo unico e
irripetibile nel quale già suonavo, e proprio per questo mio lavoro,
finendo di trasmettere in una radio milanese alle quattro della
notte, mi imbattevo nel coprifuoco e naturalmente in tutti i pericoli
a esso connesso: una paura incredibile ma che ben potevo vivere per
tutto quello che succedeva e per la mia esperienza personale.
Vivevamo sì nel terrore ma anche nella consapevolezza di fare jazz
in un periodo così rovinato dalla guerra ed è stata forse la mia,
la nostra salvezza.
Il nostro passato lo abbiamo vissuto con poesia, non tornerà mai,
quando c'era l'ingenuità e quando Kramer andava al Ministero
dell'Istruzione dove veniva accolto da grande personaggio ma alle sue
richieste di inserire l'educazione musicale nelle scuole a tutti i
livelli le orecchie si chiudevano. E oggi siamo ancora qui!
“alias il manifesto”, 3 marzo 2007
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