LA PRESENTAZIONE DEI
MODELLI MERCEDES A LAS VEGAS
|
BUENOS AIRES
Gli specialisti di
marketing della Mercedes Benz hanno scelto una scommessa rischiosa
per l’incontro sulle nuove tecnologie svoltosi a Las Vegas orsono
tre settimane. Il presidente della compagnia tedesca, Dieter Zetsche,
ha usato il famoso ritratto del Che Guevara immortalato da Alberto
Korda, ritoccando la stella rossa sul basco con il logo a tre punte
della marca automobilistica.
Zetsche ha commesso un
doppio sacrilegio con la sua innovativa promozione di un programma
chiamato «Car Together» e diretto a fomentare l’uso dell’auto
condiviso a partire dalle reti sociali. L’azzardo ha provocato le
reazioni di quanti hanno amato il Che per la sua vita, al di là
dell’immagine seduttrice della sua faccia, ma anche nell’esilio
anti-castrista e nella destra repubblicana statunitense che non
avrebbero mai creduto di vedere l’icona dei loro incubi promuovendo
l’icona dei loro sogni consumisti.
Questa trovata
pubblicitaria obbliga tuttavia a farsi una domanda meno futile. Che
ne sarebbe stato di Ernesto Guevara Lynch de la Sema se avesse
rinviato i suoi impulsi rivoluzionari, non avesse intrapreso il suo
famoso viaggio in motocicletta e avesse lavorato come operaio nella
frabbica della Mercedes Benz nell’Argentina degli anni ’70?
Forse avrebbe avuto la
stessa sorte degli almeno 14 operai della compagnia tedesca
desaparecidos per mano della dittatura militare e degli altri che
furono costretti all’esilio o furono arrestati, torturati e alla
fine liberati.
Questo implica un’altra
domanda spinosa, quella delle responsabilità civili e padronali nel
massacro perpetrato dalla dittatura argentina fra il ’76 e 1'83,
che si lasciò dietro 30 mila desaparecidos. La giustizia argentina
finalmente ha cominciato a fare il suo lavoro, ha pronunciato finora
decine di condanne e giudicato centinaia di militari, poliziotti,
agenti dei servizi e perfino qualche prete, ma non ha toccato quasi
nessun imprenditore o manager che in quel tempo potrebbe avere avuto
un molo nella delazione ai militari dei lavoratori «scomodi».
I sindacati della
compagnie automobilistiche erano allora i più attivi e politicizzati
fin dagli anni ’60. Nello stabilimento della Mercedes Benz, nella
località di González Catán, popoloso sobborgo di Buenos Aires,
emerse una commissione sindacale di sinistra che si opponeva al
Sindicato de Mecánicos y Afines del Transporte Automotor capeggiato
dal peronista di destra José Rodríguez fino alla sua morte, nel
2009.
Nel 1975, l’anno prima
del golpe e quando c’era ancora un governo peronista di destra, i
lavoratori della Mercedes Benz riuscirono a resistere ai
licenziamenti grazie a un mese di scioperi e al blocco degli ingressi
della fabbrica. A loro volta i Montoneros, la guerriglia peronista di
sinistra, sequestrarono un manager tedesco della Mercedes e per la
sua liberazione l’impresa dovette pagare un riscatto di milioni di
dollari e pubblicare sulla stampa internazionale inserzioni in cui
chiedeva scusa per «la sua politica contraria ai lavoratori»,
secondo la ricostruzione della giornalista della radio tedesca
Gabriela Weber, autore di una documentata inchiesta da cui fu tratto
un documentario intitolato Non ci sono miracoli.
Nel marzo del ’76
arrivò il golpe guidato dal generale Jorge Rafael Videla e a partire
da allora aumentò la repressione fino a toccare il limite del
genocidio che colpì dissidenti, militanti sociali e guerriglieri.
Anche così, all’inizio del 77, la commissione interna della
compagnia tedesca continuava a funzionare, però dopo un negoziato su
aumenti salariali e condizioni di lavoro, cominciarono le
desapareciones. Fatto degno di attenzione, la Mercedes Benz
avrebbe continuato a pagare i salari dei suoi operai desaparecidos
per altri dieci anni, come scrisse la Weber.
Le vedove di alcuni di
quei delegati desaparecidos, come Esteban Reimer e Hugo Ventura,
hanno il sospetto che i loro compagni fossero stati consegnati ai
militari dalla compagnia.
Ma c’è un altro
elemento che complica ancor di più il ruolo del vertice direttivo
della fabbrica. Oltre agli almeno 14 lavoratori della Mercedes Benz
che figurano fra i desaparecidos e agli altri costretti a partire per
l’esilio, le squadracce della dittatura andarono a cercare tre
dentro la fabbrica stessa.
Uno di loro, Héctor
Ratto, ha raccontato che il 12 agosto ’77, quando stava per essere
arrestato, il direttore della compagna Juan Rolando Tasselkraut,
diede agli agenti l’indirizzo di un altro lavoratore, che quella
stessa notte fu fatto sparire. Ratto resto più di due anni rinchiuso
in una caserma dell’esercito a Campo de Mayo, dove fu torturato e
dove si suppone che sparirorno gli altri lavoratori. Tasselkraut, che
con il tempo sarebbe tornato a dirigere la filiale argentina della
Mercedes, ha liquidato come una «stupidaggine» la versione che lo
incrimina. E Pablo Llonto, avvocato di Ratto, ci ha detto che la
causa giudiziaria avviata nel 2002, è quasi paralizzata in una
tribunale di San Martin, altro sobborgo di Buenos Aires.
Llonto ha ricordato che
ancor prima delle denuncia di Gabriela Weber, la Mercedes avviò una
investigazione intema che escluse ogni responsabilità dei suoi
manager pur dovendo riconoscere che i delegati sindacali furono
«desaparecidos». L’iniziativa giudiziaria chiama in causa i
dirigenti dell’impresa, l’ex-ministro del lavoro peronista Carlos
Ruckauf e vuole chiarire il ruolo avuto dal capo del sindacato, José
Rodriguez.
Contemporaneamente si è
aperto un giudizio anche a San Francisco, negli Stati uniti, grazie a
una legge che permette di chiamare in causa imprese che abbiano sedi
in quel paese e che abbiano commesso violazioni dei diritti umani in
qualsiasi posto del mondo. Ma anche quel giudizio si sta trascinando.
Per quanto emblematico,
il caso della Mercedes Benz non è l’unico. Gli organismi per i
diritti umani hanno messo agli atti che nella fabbrica della Ford
furono torturati dei sindacalisti e poi trasferiti in campi di
concentramento, dopo di che l’impresa Usa li licenziò per «essersi
assentati dal luogo di lavoro senza autorizzazione». Una volta
recuperata la democrazia, la Ford pagò gli stipendi arretrati...
Però da poco è arrivata una notizia che fa ben sperare. Con una decisione inedita, un tribunale di Salta, nord dell’Argentina, ha chiamato a rispondere il proprietario di una impresa di trasporto di passeggeri - la Veloz del Norte -, Marcos Levin, quale responsabile del sequestro di 12 lavoratori dell’impresa, fra autisti e hostess, durante la dittatura. Molti di loro, presi nel gennaio del ’77, lo stesso mese dei loro compagni della Mercedes Benz, furono torturati ma non «desaparecidos», per cui, una volta recuperata la libertà hanno potuto portare testimonianze che inchiodano l’imprenditore Levin.
Però da poco è arrivata una notizia che fa ben sperare. Con una decisione inedita, un tribunale di Salta, nord dell’Argentina, ha chiamato a rispondere il proprietario di una impresa di trasporto di passeggeri - la Veloz del Norte -, Marcos Levin, quale responsabile del sequestro di 12 lavoratori dell’impresa, fra autisti e hostess, durante la dittatura. Molti di loro, presi nel gennaio del ’77, lo stesso mese dei loro compagni della Mercedes Benz, furono torturati ma non «desaparecidos», per cui, una volta recuperata la libertà hanno potuto portare testimonianze che inchiodano l’imprenditore Levin.
il manifesto, 5 febbraio 2012
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