27.4.19

Il ritorno dello zio Tom. Il razzismo leghista ben prima di Salvini (Umberto Eco)


Recensione di sette anni fa di un libro di 7 anni fa, un libro di Furio Colombo che ci rivela come Salvini non salti fuori dal nulla e come la costruzione di un “senso comune” razzista e di politiche razziste a tutti i livelli sia stata un'operazione di lungo periodo. Ad essa il ceto politico e gli opinion makers del centro sinistra hanno opposto una resistenza debole e ondivaga. Come fa ben notare Umberto Eco, mentre accadeva tutto questo l'opposizione alla Lega si incentrava sugli investimenti in diamanti dei suoi fondi e sui diplomi di laurea del Trota, figlio di Bossi. E l'opposizione alla destra sulle avventure galanti e gaffes istituzionali di Berlusconi (S.L.L.)

Il lettore che, in una grigia mattina di questo maggio piovoso, trovasse, abbandonato in treno e mancante della copertina e delle prime pagine questo libro (romanzo?) di Furio Colombo, si chiederebbe perché l’autore si sia rimesso a fare Dickens, coi suoi ragazzini macilenti esposti a feroci punizioni corporali, perché voglia rievocare le vicissitudini del povero Remy di Senza famiglia nella tana del signor Garofoli, perché abbia scopiazzato le vicende dei “boveri negri” dell’ormai insopportabile Capanna dello zio Tom o, peggio ancora, si sia ridotto a presentare come attuali le storie del profondo Sud americano, in cui le “bovere negre, sì badrone” venivano sbattute giù dai trasporti pubblici. Evvia, caro Colombo, viviamo in altri tempi - per fortuna!
Il nostro lettore proverebbe però un moto di sorpresa se poi ritrovasse il libro completo di copertina e prefazione, vedesse che è intitolato Contro la Lega (Laterza, per soli nove euro tanti orrori da far impallidire Stephen King) e non contiene storie inventate bensì un puntiglioso resoconto di episodi di razzismo e persecuzione perpetrati in vari comuni amministrati dal noto partito. Sono episodi che Colombo in quanto deputato ha cercato spesso di denunciare in parlamento ricevendo una volta, dal deputato leghista Brigandì, come motivata controargomentazione, “Faccia da culo!” (sic).
In questo malauguratamente non-romanzo si racconta una storia italiana, dove carabinieri e vigili urbani distruggono con le ruspe i campi nomadi, tra le due e le tre del mattino, terrorizzando i bambini” e dove a scuola i bambini sinti, anche se cittadini italiani, sono assegnati a classi separate e come i bambini stranieri - restano a digiuno all’ora della mensa scolastica. Il libro comincia con la storia della famiglia Karis: il padre, cittadino italiano da generazioni viveva a Chiari facendo il ferrivecchi, e un’improvvida amministrazione di centrosinistra gli aveva assegnato un prefabbricato di tre stanze; ma la successiva amministrazione padana nel 2004 (sindaco il senatore Mazzatorta) si era ripreso il terreno perché “era cambiato il piano regolatore”, la casa dei Karis veniva abbattuta, il comune cancellava la residenza, i bambini non potevano più andare a scuola e l’intera famiglia si riduceva a vivere in una roulotte; così che di fronte a questo inaccettabile caso di nomadismo i vigili urbani battevano nottetempo con mazze di ferro sul veicolo se il padre si era fermato per riposo o per fare pipì.
Ma il libro parla di ogni genere di extracomunitari. A Termoli i vigili urbani acciuffano un ambulante del Bangladesh, lo picchiano e lo rinchiudono nel portabagagli dell’auto di servizio. A Parma vigili urbani in borghese prendono Emanuel Bonsu, giovane nero che stava recandosi alla scuola serale, lo riempiono di botte e solo più tardi si accorgono che non spacciava affatto droga come avevano sospettato. Su un autobus di Varese un quattordicenne ordina a una coetanea con il velo di lasciargli il posto sull’autobus, la ragazza resiste, e lui e i suoi compagni la prendono a calci e a pugni. A Bergamo su un autobus una passeggera grida che le hanno rubato il cellulare, il controllore decide che il ladro non può essere che un ragazzo di colore, l’autobus viene fermato, il ragazzo spogliato nudo, il cellulare non viene fuori (evidentemente il ladro era un altro), ma gli trovano indosso settanta euro e il controllore sequestra la somma e la signora, grata, l’incassa come risarcimento.
Siamo appena a pagina 11 di questo non-romanzo e i capitoli seguenti spaziano delle sevizie subite in Libia da disperati che militari italiani hanno fermato in mare e restituito agli aguzzini di Gheddafi, alle accuse di “nasone” a Gad Lerner, in un crescendo di piacevoli e romanzesche atrocità.
È curioso che gli italiani si stiano scandalizzando per quattro diamanti e due o tre diplomi a pagamento (caso mai laurearsi in Albania non è forse indice di scarso razzismo?) mentre da anni accettano che avvengano tutte queste cose, che il libro asciuttamente racconta.

2012 - ora in Papé Satàn Aleppe, La Nave di Teseo, 2016

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