La Costituzione Italiana è, soprattutto nella sua prima parte, una costituzione "programmatica". Non registra uno stato di fatto, ma un obiettivo verso cui si dovrebbe tendere. E dunque limiti e deficienze nella sua attuazione sono comprensibili. Ma a una sola condizione: che si lavori per ridurli.
Tra le "riforme" di cui il presidente Napolitano chiede la sollecita realizzazione ce n'è una che la vulgata chiama "federalismo fiscale". Essa, grosso modo, consiste nell'attribuire alle Regioni un qualche potere fiscale in più rispetto alle attuali addizionali e le risorse fiscali provenienti dal territorio, salvo i contributi necesssari al funzionamento dello Stato centrale, alle grandi opere, a qualche perequazione. Il risultato prevedibile è quello di una maggiore disponibilità di risorse per i servizi in capo alle regioni più reddituose, di una maggiore scarsità per le altre, quelle del Sud e anche qualcuna del Centro.
Se gli effetti si esaminano in combinato disposto con quelli della riforma del Titolo V della Carta costituzionale, la cosiddetta riforma "federalista" approvata dal Centrosinistra e ratificata dal referendum popolare nel 2001, potremmo avere in tante materie, dalla sanità alla scuola, situazioni molto più differenziate di quanto non lo siano già oggi. A quel punto, visto che i diritti sanciti nella prima parte della Costituzione non saranno più nemmeno degli obiettivi, occorrerà aggiornare anche quella.
Per esempio l'articolo 32 sarà così integrato (la parte aggiunta è segnalata con il corsivo): "La Repubblica, dove più dove meno , tutela la salute come fondamentale diritto etc:". L'articolo 34 inizierà così: "La scuola, dove più dove meno, è aperta a tutti"; così il 35: "La Repubblica, dove più dove meno, tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni". E così proseguendo.
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