Una settimana fa i giornali davano notizia dell’imminente ritiro dalla politica di Oskar Lafontaine, il leader della Linke tedesca. A maggio, dopo le elezioni regionali in Renania e Nord-Westfalia, con il congresso del partito rinuncerà alla presidenza della Linke e al seggio al Parlamento. Ha un cancro alla prostata, ma ancora di più è spinto al ritiro da quella che apertamente chiama la “crisi esistenziale” che ne è conseguita. “E’ tempo - dice - che mi dedichi alla famiglia”. Il partito da lui costruito attraverso la fusione tra la sinistra socialdemocratica dell’Ovest e gli ex comunisti della Pds nell’Est aveva ottenuto l’11,9% alle elezioni politiche dello scorso autunno e dimostrato che lo spazio di una sinistra classista, ecologista e femminista, capace di fare politica e non solo protesta. La Linke certamente soffre di tutti i limiti di radicamento sociale dei partiti europei post-89 e il suo successo è certamente legato alla leadership del cosiddetto “Napoleone rosso della Saar”. Il partito, tuttavia, ha tentato di darsi regole, organizzazione, luoghi di elaborazione e di dibattito. Soffrirà del ritiro di Lafontaine, ma, a nostro avviso, riuscirà a trovare un gruppo dirigente autorevole. L’obiettivo è spostare a sinistra la Spd e i Verdi, con cui i rapporti sono assai difficili ed in pratica limitati al alcune realtà locali, e, per questa via, costruire una alternativa al centro-destra della Merkel.
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