Nello scorso settembre a Pian del Masssiano di Perugia mi è accaduto di partecipare per conto di Libera a un dibattito della Festa del Pd sul tema delle infiltrazioni mafiose in Umbria. Non senza una punta di polemica, il dottor Angelini, rappresentante della Confindustria, mentre vantava il sostegno degli industriali umbri a Ivan Lo Bello e agli imprenditori siciliani antipizzo, definiva esagerato l'allarme. "L'imprenditoria è sana" - diceva - "i denari di origine mafiosa sono poca cosa, corrispondono a quote infinitesimali dei capitali investiti in attività produttive". Sembrava insomma sottovalutare l'acquisizione di immobili, di aziende o di compartecipazioni, con lo scopo di ripulire e riciclare gl'ingenti proventi del crimine, soprattutto del traffico di droga, nonostante la crisi, la cronica sottocapitalizzazione delle imprese e l'aumentata tirchieria delle banche in tempi di crisi.
Ho pensato a lui, a Colajacovo e ad altri prestigiosi capitalisti umbri, leggendo le allusioni a Stefano Todini, in margine ad una vicenda inprenditoriale che riguarda la sorella Luisa. Su "Il fatto" Francesco Bonazzi e Marco Lillo scrivevano che ormai da anni "donna Luisa ha preso il posto del papà lasciando al fratello Stefano solo le attività turistiche". E aggiungevano: "La separazione si è rivelata salutare nel luglio scorso quando è stato sequestrato il famoso Cafè de Paris di via Veneto, in passato appartenuto alla società Delta Group, della famiglia Todini".
Era stato appunto Stefano Todini, insieme alla vedova del Cavalier Franco Todini, Anna Maria Clementi, a vendere lo storico locale legato a "La dolce vita" felliniana. L'acquirente risultava essere un barbiere nullatenente di Sant’Eufemia di Aspromonte, tale Damiano Villari, ritenuto dai magistrati prestanome del clan Alvaro. L'operazione era resa ancora più strana dal riacquisto da parte di Todini del 20% delle quote con un atto poi annullato dal Tribunale civile che lo ha giudicato una simulazione. Richiesto di spiegazioni, Stefano Todini ha ammesso la stranezza, ma si è limitato a dire che il barbiere aveva la fedina penale pulita.
Todini non è soltanto il figlio di Franco, una delle glorie storiche dell'imprenditoria umbra. E' ben introdotto nel mondo dello spettacolo e del gossip anche grazie alla moglie, l'attrice e produttrice Patrizia Pellegrino, con cui convive da più di 10 anni. Li ha sposati civilmente a fine 2008 in una chiesa sconsacrata alle terme di Caracalla il sindaco di Roma, Alemanno, e alla cerimonia c'era tanta strana gente tra cui Cuccuzza e il famigerato "Merolone".
Stefano Todini imprenditore resta comunque ben radicato in Umbria. Promuove con la sua propria immagine l'Hotel relais di gran lusso che gestisce a Todi, nel 2008 ha lanciato a Colvalenza la sua nuova, grande e bella cantina che ha intitolato al padre. Mi auguro, pensando anche a chi ci lavora, che le sue aziende (umbre e non solo) superino in bellezza la crisi.
Resta il fatto che Todini, figlio ed erede di "Franco il contadino" che rendeva oro quel che toccava, ha accettato di vendere a un barbiere d'Aspromonte il "Café de Paris", per di più quando ancora la crisi non c'era. Siamo certi che altri, senza i suoi ascendenti, sappiano resistere oggi ad analoghe tentazioni?
Nessun commento:
Posta un commento