7.1.10

Fuochi di Paglia (da "micropolis" Marzo 2008)

Sotto l'unico titolo-catenaccio L'alterità del prete "micropolis" di marzo 2008 pubblicò due miei brevi articoli anticlericali, uno dedicato all'ancora don Gelmini ed ai suoi guai giudiziari e l'altro al Sessantotto del vescovo di Terni, che pubblico qui come giunta alla saga di Paglia.

Nell’allegato di “Micromega” dedicato al Sessantotto la parte più corposa, dal titolo A più voci, è costituita da contributi di personaggi tra i più vari, da Vattimo a Petrini, da Fo a Bisio, da Cordero a Staino. In questi casi, un po’ perché s’intrufola un po’ perché lo cercano, il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, non manca mai. Racconta del suo Sessantotto (gli studi al Pontificio Seminario e alla Università Lateranense, il rinnovamento della teologia, maestri, compagni, libri), ne individua i temi “caldi” nel mondo ecclesiastico (amore e sessualità, emarginazione e Terzo Mondo, liturgia e utopia), rievoca l’atmosfera infuocata in cui preti e prelati costituiscono collettivi, studiano il marxismo, cercano “i poveri” nelle borgate, in carcere o in fabbrica. Parla di una “galassia ampia e complessa”, che confluirà nel 1974 nell’assemblea dei cristiani di Roma, cui parteciperanno personalità di ogni ispirazione, “da Franzoni a Marchesini, da Scoppola a Monticone, da Riccardi a De Rita (…) con il Cardinale Poletti tra loro”: “un popolo raccolto a dibattere sulla propria identità e sulla propria missione”.
Non sapremmo dire quanto la speciale attenzione di Paglia alla Diocesi di Roma sia legata alla sua candidatura alla successione di Ruini, di certo ci tiene a far sapere di non mai essere stato tra le “teste calde”. Il suo bersaglio sono infatti le comunità di base (“un coacervo complesso e molto variegato i cui protagonisti (…) giunsero sino alla ‘dissoluzione’ del messaggio religioso nella scelta politica”), mentre valorizza la Comunità di Sant’Egidio di cui fu direttore spirituale, cha nel rapporto con la società si affidava al Vangelo senza “la tentazione dell’ideologia” Paglia maliziosamente ricorda un rimprovero di dom Franzoni (“voi avete fatto una scelta di campo, non di classe”) e aggiunge: “La giusta preoccupazione di non essere estranei al mondo significò per alcuni l’abbandono dell’identità di preti; in verità la sfida si giocava nell’essere con tutti senza abbandonare la propria dimensione di alterità”.
Nel pezzo del vescovo di Terni non manca una punta di piaggeria, specie quando parla di Ratzinger, di cui elogia il libro La fraternità cristiana “non poco innovativo nella critica al marxismo”. Accenna poi al dolore del futuro papa quando, proprio nel 1968, fu contestato a Tubinga dai teologi del dissenso.
“Sarei stato felice – commenta untuoso - se allora avesse incontrato l’esperienza di un altro ’68 come quello di Sant’Egidio svincolato dalle ideologie e radicato nel Vangelo”. A conclusione Paglia proclama l’irreversibilità del rinnovamento conciliare, ma vuole eliminare le “esagerazioni”, prima fra tutte “la confusione tra comunione e democrazia”. “La Chiesa – spiega - “è chiamata ad essere Magistra per indicare la via della verità”. Così la testimonianza sul ’68 diventa l’occasione di un pronunciamento a favore di Benedetto XVI e della sua crociata contro il relativismo, un contributo alla sua “restaurazione”.
Il godibile volumetto di “Micromega” contiene tuttavia un’altra sezione che indirettamente ci parla di Paglia. Nella carrellata di Emilio Carnevali sui “Sessantottini insospettabili” ha infatti un posto speciale Paolo Mieli, l’attuale direttore del Corsera nel ’68 vicino a PotOp. Pare che fosse preso da un fuoco sacro, conferenze, assemblee, incontri, scontri a non finire. Intanto però usava la discussione politica come “occasione per accumulare decine, centinaia di conoscenze”.
Una impressione del genere si ricava anche dalla testimonianza di Paglia: la Chiesa era in fermento, ma lui ne approfittava per conoscere questo, quello e quell’altro.
Relativista mai, “relazionista” sempre.





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