16.1.10

Licata. Il sindaco in esilio.


A fine novembre, su mandato della magistratura, i carabinieri di Licata arrestano il sindaco di centrodestra Graci, l'assessore alle feste, il presidente del Consiglio comunale, un imprenditore e un alto funzionario del Comune. L'accusa è circostanziata: in occasione della festa patronale di sant'Angelo sarebbe stato assegnato per 40 mila euro (con una tangente di seimila) l'appalto per un complesso di servizi, quando altri ne chiedevano solo 30 mila. Le prove, costituite soprattutto da intercettazioni telefoniche, sarebbero schiaccianti. Insomma una ordinaria storia di corruzione.
Ma, a ben vedere, dello straordinario c'è: l'esiguità dell'appalto e del pizzo richiesto, per di più da dividere in tre o quattro. Da rubagalline.
Qualcuno anche per questo parla di una "trappola", tesa al sindaco non si sa da chi e perchè. Altri invece ipotizzano un vero e proprio "sistema" alla mafiosa, con un tariffario per ogni atto, senza eccezioni: la "tangente categorica" come prova provata e simbolico emblema del controllo totale dell'amministrazione in tutte le sue pieghe. Il tutto nella presunzione dell'impunità. Altri ancora aggiungono che Graci e compagnia sarebbero stati intercettati non per la segnalazione di un imprenditore escluso, come scrivono i giornali, ma perchè sospettati di ben più gravi magagne. La scoperta della cresta sul santo sarebbe un prodotto di risulta.
La vicenda ha, in ogni caso, conosciuto sviluppi pirandelliani. Il Consiglio comunale, dopo i tentennamenti di alcuni consiglieri e i rinvii, è stato sciolto perchè, a causa delle dimissioni di una grandissima parte dei suoi membri, non era più in grado di funzionare. I promotori dello scioglimento, tutta l'opposizione e buona parte della maggioranza, pensavano di favorire con questo atto il commissariamento del Comune e nuove elezioni in tempi brevi.
Ma non è andata così. Al sindaco, scarcerato dopo una decina di giorni, è stato proibito di risiedere a Licata, forse per non inquinare le prove. Si è stabilito a una quarantina di chilometri, in una località marina del comune di Agrigento, San Leone. Di dimettersi non ha voluto sentirne. Anzi da San Leone ha nominato una nuova giunta, dice di tecnici. La Regione, a sua volta, ha nominato un commissario, non al posto del sindaco incriminato, ma per assumere i poteri del disciolto Consiglio comunale.
Un esito paradossale dunque, tecnicamente pirandelliano, con i consiglieri incolpevoli giubilati e il sindaco, presunto lestofante, che governa indisturbato dal suo esilio balneare.
C'è chi cerca le ragioni dell'accaduto nelle peculiarità dei licatesi: nei paesi vicini li chiamano licatisi babbi (babbei). Il contesto sociale e giuridico che ha determinato lo svolgimento della vicenda non è tuttavia esclusivo di quell'amena cittadina, in cui peraltro non mancano le persone di intelligenza e talento, riguarda l'intera Sicilia e va oltre. I babbei non sono prerogativa di Licata.

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