30.8.10

Una lettera dalla Sicilia del vicerè Caracciolo (1781)

A Ferdinando Galiani
Palermo, 21 decembre 1781
Eccomi, caro amico, relegato sur les arides bords de la sauvage Sicile, e sono occupato toto Marte a procurare il ben pubblico. Ma incontro difficoltà grandi e des entraves ad ogni passo, e forse le più forti derivano da un vizio del governo medesimo. Tanti fori, tante giurisdizioni, tanti ordini e dispacci opposti da codeste segreterie, tanta debolezza e connivenza nel ministero, tanta rilasciatezza di disciplina e tanto disprezzo delle leggi farebbero cadere le braccia al Cristo. Oltre che, il paese di se medesimo è male organizzato. E’ abitata la Sicilia da gran signori e da miserabili, vale a dire è abitata da oppressori e da oppressi, perché la gente del foro servono qui da strumento d’oppressione. Il papa del foro siciliano è il presidente Airoldi, barbaro e ignorante come tutti gli altri, però scaltro, souple, immorale, indifferente al sì e al no…
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Postilla
I cinque anni di governo del vicerè Caracciolo (1781-86) in Sicilia segnano il più coraggioso tentativo di smantellamento del feudalesimo e di riforma politica e sociale nell’isola in epoca borbonica. Il Consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia ne rappresenta, in forma a mio avviso insuperabile, la grandezza e il fallimento.
Domenico Caracciolo (1715 – 1789), da ambasciatore del regno di Napoli, aveva soggiornato a lungo a Parigi e lì aveva frequentato, tra gli altri, D’Alembert, D’Holbach, Helvetius e Necker. Questa lettera, che racconta la prima presa di contatto con la Sicilia, è diretta all’abate Galiani, anche lui frequentatore parigino del milieu illuministico, economista fisiocratico e autore di un trattato Sulla moneta e di Dialoghi sul commercio dei grani molto apprezzati e discussi.

1 commento:

turisbeggiu ha detto...

n'ha cangiatu nenti (non è cambiato nulla) devo dire.

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