15.8.10

Un ricatto da respingere. L'articolo della domenica.

C’è qualcosa di eversivo nelle dichiarazioni di non pochi esponenti della destra che governa, sia berlusconica che leghista.

C’è intanto un attacco senza precedenti, non esplicitato ma pure evidente, al presidente della Repubblica. E’ bastato che Napolitano dicesse, in qualche modo e in qualche luogo, che cercherà di evitare la fine anticipata della legislatura, com’è nelle sue prerogative e un po’ anche nei suoi doveri di presidente di una repubblica parlamentare, per scatenare una inesauribile sfilza di minacce. Milioni e milioni – dicono – scenderanno in piazza per impedire quello che sarebbe un vero e proprio golpe.

In verità il golpe ci sarebbe se un governo privo di maggioranza parlamentare obbligasse, senza altre verifiche, il paese a un voto immediato, sulla base dell’affermazione che le elezioni hanno indicato Berlusconi come Presidente del Consiglio del ministri. Non sono un esperto costituzionalista e non ho la pretesa di giudicare la conformità del porcellum alla Carta fondamentale, ma qualsiasi persona mediamente informata sa che una legge ordinaria non può modificare la Costituzione e che le riforme costituzionali esigono maggioranze qualificate, doppia lettura, possibilità di verifica referendaria.

L’attuale legge elettorale non ha percorso questo iter e non comporta alcuna surrettizia riforma costituzionale: l’indicazione del nome del Presidente del Consiglio dei ministri e la sottoscrizione del programma di governo non modificano pertanto la forma parlamentare del nostro governo ed hanno valore solo ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza. L’attuale legge elettorale non ha affetto introdotto nei parlamentari un vincolo di mandato, come ben sa Berlusconi che, nella scorsa legislatura, ha acquisito all’opposizione anti-Prodi Mastella, Dini ed altri e che anche in questa legislatura si agita in cerca di acquisizioni. I parlamentari eletti “senza vincolo di mandato” possono dunque, se vogliono, togliere la fiducia al candidato presidente cui erano collegati al momento delle elezioni e votare la fiducia ad un diverso presidente. Una legge ordinaria peraltro non può impedire al Presidente della Repubblica di assegnare l’incarico per la formazione di un nuovo governo, anche con un nuovo premier e un diverso programma, e di verificare se esso è in grado di ottenere la richiesta fiducia in entrambi i rami del Parlamento. Queste elementari norme di diritto vanno ricordate al costo di sfidare un pezzo ampio di popolo convinto a torto dal manganellamento mediatico di “aver eletto il capo del governo”. Nella Repubblica Italiana il sistema non è questo: non si elegge il governo, si eleggono i deputati e i senatori e sono loro che concedono o negano la fiducia al governo costituito su impulso del Capo dello Stato. Se e quando la Costituzione verrà cambiata e prevederà l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, si potranno fare valere altre regole. Oggi bisogna rispettare le leggi che ci sono e valgono, anche se si è i padroni della televisione e se i sondaggi compiacenti assegnano astronomiche percentuali di consenso.

Le domande da porsi a questo punto sono altre. Prima. E’ più utile ai cittadini, alla democrazia italiana la costituzione di un nuovo governo o il voto immediato? Seconda. E’ possibile, nella situazione data, la costituzione di un governo che ottenga la fiducia delle Camere.

Alla prima domanda rispondo che un governo “di transizione” – così in tanti lo chiamano – non solo è utile ma assolutamente necessario.

Le ragioni sono quelle che Paolo Flores D’Arcais ha indicato nella sua lettera pubblica a Di Pietro e a Vendola. In Italia non c’è più, forse da parecchio tempo, democrazia elettorale: il confronto è falsato dal controllo personale e di parte di tutto il sistema dell’informazione e comunicazione televisiva, quella più pervasiva, visto che entra nelle case. C’è poi una legge elettorale che ha tolto ogni possibilità di scelta degli eletti da parte degli elettori e che bisogna in un modo o nell’altro cambiare.

Ci vuole subito un governo che ristabilisca le condizioni minime per l’esercizio della democrazia: garanzie di libertà e pluralismo nella comunicazione mediatica e regole paritarie per il confronto elettorale. Bisogna dare al parlamento il tempo necessario per approvare una legge elettorale decente.

La risposta alla seconda domanda è più difficile. E’ molto improbabile che Berlusconi sostenga questo tipo di esecutivo. La Lega di Bossi, avendo come alleato un Cavaliere sempre più debole, è convinta di aumentare il suo potere: lo sosterrà finché potrà. Quel che resta del Parlamento, tolti la Lega e il Pdl, è comunque una potenziale maggioranza, ma difficilmente componibile. Mettere d’accordo i gruppi di destra “europea” di Fini, i centristi di Casini, gli autonomisti del Nord e quelli del Mpa, i neocentristi di Rutelli, il Pd sempre diviso, i dipietristi è un grande problema; ma potrebbe giocare a favore una comune presa di coscienza. La capacità di attrazione del Cavaliere si è molto indebolita, ma, data la precaria democrazia mediatica ed elettorale, una sua riconferma, favorita dal successo della Lega, non è affatto impossibile. Dopo le elezioni un governo con un consenso assai più scarso metterebbe a dura prova l’unità nazionale e le stesse libertà civili.

Un sostegno maggioritario per un governo tecnico, o presidenziale o come altro si voglia, seppure con molte difficoltà, potrebbe dunque essere trovato, ma l’operazione esige un preventivo accordo di ferro sulla riforma elettorale, che non può essere affidata al buio al Parlamento. Se potessi dare un consiglio ascoltato suggerirei ai capi del Pd di sostenere qualsiasi riforma che sia in grado di passare, purché cancelli gli obbrobri maggiori del “porcellum”. Ma so che da quelle parti trionfano la retorica e la divisione ed è in atto una nuova resa dei conti tra D’Alema e Veltroni; non si accettano buoni consigli.

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