1.8.10

La filiera, la Gelmini, il governo.

Filiera nei dizionari fino agli anni 70 del secolo scorso era, nel suo significato principale, la macchina dell’industria tessile che mette insieme i diversi filati nella tessitura. Sul finire del Novecento e più ancora nel nuovo millennio al termine è stato attribuito un nuovo valore. Si è parlato in primo luogo di “filiera agroalimentare” per definire l’insieme di attività agro-zootecniche, industriali, commerciali che portano dalle materie prime al prodotto alimentare finito, quello che giunge sulla tavola del consumatore. Da più parti si è sostenuta l’esigenza che la “filiera” dovesse essere corta, a garantire insieme la salubrità del processo e i prezzi equi per il produttore originario e il consumatore finale. Poi “filiera” ha ulteriormente ampliato il suo campo semantico nel corso dei dibattito sui distretti industriali. Si distinsero allora distretti specializzati in uno più segmenti del processo produttivo ed altri appunto di “filiera”, in cui diverse attività si integravano fino a comporre il prodotto per il mercato.

Ora, sfogliando le cosiddette “indicazioni nazionali” che il ministero della Gelmini ha predisposto per le scuole secondarie superiori, mi sono imbattuto in una nuova accezione del termine. Nelle Indicazioni nazionali per il Latino del Liceo classico, a proposito del V anno, si può leggere : “La lettura in lingua originale degli autori […] potrà […] concentrarsi su filiere tematiche o tipologiche considerate anche nei loro esiti medievali e moderni”. M’è venuto da chiedere, come usava fare Pietro Raia, un anziano cavatore di pietre che coi suoi detti divertiva la mia adolescenza: “Chi minchia è ‘sta filera timatica? è cosa ca si mangia?”.

Poi, “di pensier in pensier”, mi sono rammentato di un canto popolare di fine Ottocento, riproposto qualche anno fa da Giovanna Marini e Francesco De Gregori, Il feroce monarchico Bava.

Un verso del testo originale faceva “la panciuta caterva dei ladri”. Nell’Ottocento tra i ceti popolari la sottoalimentazione era la regola e l’obesità era malanno assai raro: per essere panciuti bisognava essere, se non ricchi, almeno agiati. E tanto spiega l’aggettivo usato dall’ignoto versificatore. De Gregori e Marini, per evitare incomprensioni, hanno attualizzato il testo, hanno cantato “l’infinita catena dei ladri”, eliminando anche l’arcaico “caterva”. A me è scesa dalla mente sulle labbra una nuova variante del verso: “l’abbronzata filiera dei ladri”. Chissà perché. Forse per una impropria e improvvida associazione tra le “indicazioni della Gelmini”, il governo di cui fa parte e la massa di affaristi che lo compongono e lo circondano?

Nessun commento:

statistiche