27.8.10

La parola "comunista" (di Maria Attanasio)



Le tenebrose risonanze della parola comunista si confondono, nella mia infanzia tra guerra fredda e ricostruzione, alla sensazione dell’ineguagliabile calura della campagna, in cui ogni estate dei conoscenti di famiglia ci ospitavano: fara di scirocco dove d’improvviso si spegneva il sibilo dell’insetto, mentre i lavoranti stagionali continuavano a raccogliere cotone dalle basse pianticelle, o a completare, foglia dopo foglia, i lunghi filari di tabacco da appendere ai telai ed essiccare al sole; talvolta un estemporaneo gioco per me, ignara – nella circoscritta temporalità dell’infanzia in cui la conoscenza della vita coincide con l’immediata, e impotente, esperienza di essa – delle loro dure condizioni lavorative, così come nulla sapevo delle lotte contadine di quegli anni in Sicilia. Dei comunisti, invece, e della Russia seppi subito, da mio padre, grande lettore di giornali, al ritorno dall’ufficio dove ogni giorno si recava con mezzi di fortuna – un passaggio su un carretto, l’autobus e spesso a piedi – ci riferì che la Madonna piangeva a Siracusa; per colpa dei comunisti, aggiunse: terrifica parola che qualche anno dopo sentii ripetere con orrore e sgomento dalle suore dove, con grandi sacrifici alimentari di tutta la famiglia, andavo a scuola.
Accomunati per efferatezza agli antichi persecutori dei cristiani, i Comunisti divennero nella mia religiosissima infanzia i protagonisti del mio immaginario martirio: un repertorio di mentale e minuzioso orrore che, in quel tempo senza televisione e senza fumetti, trovava rigoglioso alimento nelle agiografie – ne ero avida lettrice – e nei terrifici “cunti” di spiriti, robbacore e sepolti vivi di un mondo contadino in cui anche le favole erano incubi. Di esso la mia generazione è l’ultima, tendenziosa, testimone, nostalgicamente mitizzandolo a volte, a volte come nel mio caso, in blocco rifiutandolo. Appena adolescente lo rimossi così radicalmente – insieme ai chicchi di calia colorata, alle figurette dei santini, al ristagnante odore di medicine nell’unica stanza in cui abitavamo – che non me ne ritorna mai nessun ricordo, nemmeno nei sogni; solo, a volte, un intenso e remoto fluire di sensazioni senza immagini.

Caltagirone
Postilla
E’ questo l’incipit di un libro che ritengo bellissimo, Di Concetta e le sue donne, pubblicato nella prestigiosa collana “La memoria” da Elvira Sellerio nel 1999, di una straordinaria donna del Sud, la calatina Maria Attanasio, insegnante, preside, filosofa, poetessa, scrittrice e, soprattutto, compagna. Compagna come si può essere compagni nel deserto di speranze e progetti che ci circonda. E, in più, capace di ironia e autoironia, come di rado capita a persone dotate di tanta virtù creativa. Il libro è costruito su un doppio racconto di donna. Nella “quasi introduzione” Maria, in una ventina di pagine, racconta amorevolmente la genesi del libro. Cioè, nell’ordine: il complicato rapporto con il Pci della sua Caltagirone, chiusa nello scelbismo conservatore; la conoscenza di una appassionata comunista e femminista ante litteram della generazione precedente, donna di grande vigore intellettuale e morale, oltre che politico; infine l’urgenza di comunicare una storia importante, dopo un certo numero di anni, da parte delle due donne, prima dell’una e poi dell’altra. Il corpo del volumetto è rappresentato dal racconto di Concetta, insieme forte e delicato, di lotte certo, ma anche di sentimenti: c’è dentro la Sicilia del dopoguerra, il “grande, glorioso e giusto” Pci di quegli anni tremendi, che organizzava la ribellione e il riscatto, c’è il coraggio dei braccianti e quello, di necessità raddoppiato, delle popolane comuniste, c’è la grettezza della conservazione e l’imborghesimento del Pci (chiedo scusa della parola, ma non ne trovo una migliore).Questa mia descrizione può dare l’impressione di un libro noioso, o già letto. Non è così. Ed è per questo che fermo qui la presentazione. Proporrò, nei prossimi giorni, altri brani che facciano intuire la bellezza e l’importanza del volumetto blu, in entrambe le sue parti. Vorrei poter invogliare qualcuno dei frequentatori del blog a procurarselo e a leggerselo. Saranno di certo pochi, cinque, due, uno, ma mi saranno a lungo grati del suggerimento. (S.L.L.)

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