1.8.10

20 settembre 2010. Il ritorno del Papa Re. L'articolo della domenica.

La piazza principale del mio paese si chiama tuttora Piazza XX settembre. Ogni tanto qualche prete un po’ più integralista parla dell’opportunità di rinominarla, ma quasi sempre in privato: in fondo quella ricorrenza non fa più paura a nessuno. Anzi addirittura, data la crassa ignoranza della storia patria che caratterizza l’Italia, lì come altrove, nessuno sa che cosa quella data rammenti.

Ma nei palazzi dei sacri colli di Roma (Campidoglio, Vaticano, Quirinale) si sa, più o meno, della breccia di Porta Pia, della fine del Regno Pontificio e del ritorno di Roma all’Italia e si briga intorno alla commemorazione. Ai lettori di giornali la storia è nota. Il Presidente della Repubblica Napolitano avrebbe suggerito al Sindaco di Roma Alemanno di organizzare una celebrazione del 20 settembre in armonia con la gerarchia della Chiesa Cattolica. Costui non se lo sarebbe fatto dire due volte ed avrebbe subito preso contatti con il cardinale Bertone, Segretario di Stato e Camerlengo vaticano. Così si sarebbe arrivati alla determinazione del programma e alla nomina di un comitato organizzatore, di cui farebbero parte il cardinale Ravasi, Andrea Riccardi, uno storico della Comunità di S.Egidio molto amico del vescovo Paglia, e Micol Forti, una dirigente dei Musei vaticani.

Il Vaticano sarebbe intervenuto a limare anche i particolari, per esempio cassando il titolo di un convegno proposto da Marcello Veneziani, uomo di Berlusconi e della destra, Pio IX, il Papa Re, ritenuto “troppo provocatorio” e poi, cambiato in un più accomodante Pio IX e la città di Roma, benedetto senza problemi da Bertone. Il giornale dei vescovi italiani, “L’Avvenire”, ha ricordato che, in occasione del centenario, nel 1970, alle celebrazioni intervenne, su mandato di Paolo VI, il cardinale vicario Angelo Dell´Acqua: definì la caduta del potere temporale “un segno benevolo della Divina Provvidenza per la Chiesa”.

Credo che le cose siano un po’ cambiate e che una sorta di neotemporalismo percorra oggi la Chiesa cattolica nei confronti dello Stato italiano. Nell’affermazione del valore pubblico e civile della religione è implicita infatti la richiesta non solo di finanziamenti, ma anche di riconoscimenti e presenze della gerarchia o dei suoi incaricati nei luoghi ove si decide. Io ritengo peraltro che l’eliminazione di quel titolo di convegno (proposto da uno che certamente avrebbe esaltato il Papa re) sia tutt’altro che innocente. In realtà la caduta dello Stato pontificio in quel fatidico 1870 aveva un valore che andava al di là dei confini italiani, un significato europeo. Quello Stato, infatti, rappresentava oramai l’unica monarchia assoluta presente nel continente: tutti gli altri monarchi europei, dal re di Prussia all’imperatore di Austria-Ungheria, avevano accettato la loro costituzionalizzazione. E il regno di quel papa (beatificato da Wojtila) era stato tra gli esempi più notevoli di assolutistica violenza per l’ampio uso del boia e della repressione antipopolare e antiliberale.

La Roma che Garibaldi racconta in Clelia o il governo dei preti ha forse qualche eccesso nel tono melodrammatico o da romanzo d’appendice, ma è nella sostanza corrispondente alla Roma reale, come quella dei film di Magni e Monicelli.

Niente di strano c'è, pertanto, nel fatto che il Vaticano lavori perché del regno di quel papa beato si parli il meno possibile. Lo strano è che Napolitano, strenuo difensore dell’Italia unita, libera e liberale, preferisca Pio IX a Garibaldi.

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