4.8.16

ll magistero di Pasolini. Parla Paolo Volponi (Bruno Perini)

Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi, Paolo Volponi
Milano. «Quel che possiedo come letterato lo devo in gran parte a Pasolini, alla sua amicizia, al suo insegnamento».

Chi parla è Paolo Volponi, scrittore, da sempre intimamente legato alla «cultura pasoliniana». Definisce l'opera dello scrittore scomparso «un magistero». Quando prenderà la parola in occasione della presentazione dei premi «Pasolini '82» il tentativo sarà di svelare le ragioni dell'isolamento, della diffidenza presente nella cultura italiana nei confronti di Pie Paolo Pasolini specie durante l'ultimo periodo. Gli abbiamo chiesto: «Tra gli intellettuali italiani ritorna costantemente la questione della rimozione che la cultura del nostro paese ha operato nei confronti di Pier Paolo Pasolini. A cosi è dovuta questa rimozione»?
Dopo un attimo di riflessione Volponi risponde con una certa amarezza: «Vi è un senso di colpa che emerge tra gli intellettuali. In fondo Pasolini è stato lasciato solo: lo si è voluto rinchiudere all'interno di un "io" completamente autobiografico, edipico e quindi in qualche modo ossessivo, scostante, fobico. Mentre in realtà nel suo lavoro vi era sempre un superamento di questo io. C'era un assiduo lavoro di ricerca, di scambio, il recupero di una lingua vera. Certo, la lingua franava ma Pasolini non ne seguiva le frane, non tentava semplicemente un'analisi semiologica, ma cercava di trovare un'altra lingua. Quando Pasolini passa dalla letteratura al cinema è alla ricerca di uno strumento più diretto, più penetrante e forse anche meno italiano. Lui sentiva come ormai questo italiano servisse soltanto a mascherare la realtà attraverso la menzogna».
«Ma Pasolini non è solo lo studioso della lingua e del dialetto. Esiste un Pasolini intellettuale degli anni 60, provocatorio, dissacrante, di formazione marxista ma sempre critico. Non sono questi elementi che possono aver contribuito alla rimozione?».
Paolo Volponi non ha dubbi: «Certamente quelle caratteristiche vi hanno contribuito. Non si può dimenticare che Pasolini parlava di “restaurazione di sinistra”. Lui vedeva i rischi di un'integrazione del Partito comunista nel sistema capitalistico. In molte sue poesie emerge chiaramente il timore che l'avanguardia abbia accumulato materiali che non gli servono più o che servono semplicemente a risolvere la crisi del modello di sviluppo del neocapitalismo in senso tecnocratico. In quel momento Pasolini è piuttosto solo nel prendere certe posizioni. Direi anzi che non possiede neppure tutti gli strumenti per potere prendere quelle posizioni con efficacia».
«Perché, cosa è successo?».
«Le polemiche contro di lui dirette sull'avanguardia, sullo sperimentalismo, l'hanno un po' irrigidito. Gli hanno tolto la fiducia che aveva nel magistero della letteratura. Gli hanno tolto il gusto di studiare. Pasolini ha creduto di fare il gran salto con il cinema, ma a mio parere questa operazione non gli è riuscita del tutto».
«Nonostante i pochi accenni fatti nella giornata pasoliniana, sono in molti a ricordare il rapporto a un certo punto di scontro tra Pasolini e i movimenti di massa emersi dalla contestazione del '68, la polemica con gli studenti».
Volponi risponde con un certo imbarazzo: «I limiti di quelle polemiche erano su tutti e due i fronti. Pasolini intravedeva all'interno della contestazione di quegli anni una mancanza di cultura, di progetto politico. Da parte sua vi era invece una certa timidezza, data da una visione del mondo ancora poetico. In sostanza c'è un rapporto non risolto con la scienza e con la politica; il quesito è se la parola poetica è incerta rispetto alla parola scientifica. Vi erano poi del limiti anche suoi personali: nella sua smania di progettare e di comprendere, probabilmente le cose non erano più controllabili».
In apertura del suo intervento Volponi si era dichiarato allievo di Pasolini. Quando gli chiedo che cosa pensa di aver ereditato dal suo maestro, non ha esitazioni a rispondere: «Un metodo. La necessità di studiare, di arricchirsi di strumenti, di confrontarsi. Il rapporto con ciò che è vero e non soltanto con la suggestione, con la propria urgenza. Il rapporto con una dimensione aperta, socializzata, non con una dimensione solo personale e accademica».


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1982

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