5.6.17

C’è del sacro nella cicoria (Maurizio Maggiani)

Sì c'è del sacro nella cicoria, specialmente se selvatica, erba che è diventata l'emblema della mia famiglia, cibo che il mio papà tanto amava e a cui non rinuncerei per nessuna ragione. (S.L.L.)

Un giovane uomo, faccia normanna, capello biondo federiciano, sguardo alto appena un po’ lavorato della dolente coscienza ereditata dalla messapica gens che tutto resta anche quando tutto trascorre, da quello che ne so io deve avere almeno due lauree, una brancata di master, tre lingue sulla punta della lingua, vasta conoscenza personale dell’Europa; è quest’uomo che ha organizzato il mio viaggio pasquale nelle Puglie, mi ha segnato le strade, mi ha messo a posto la bici, si è sfacchinato i bagagli, trovato da mangiare e da dormire, indicato da vedere e da sentire, è quest’uomo che nel darmi l’addio mi ha regalato una cassetta di cicorie. Cicorie salentine.
A casa le ho lessate, le ho saltate, le ho mangiate con il pane che ho trovato in un forno aperto nella notte in un posto messapico che non saprei, ci ho bevuto del Salice che ho comprato sfuso in un bar lì vicino e mi son portato via dentro la borraccia della bici; ho fatto tutto questo sapendo bene che era come aver celebrato. C’è del sacro nella cicoria, c’è stato del sacro nell’avermela offerta, c’è nella sua stessa natura di erba da sempre domestica e sempre selvatica. Pianta della fecondità della miseria, ha nutrito talmente tanti popoli che non si sa nemmeno più cosa voglia dire quel suo nome cicoria, pianta dei latifondi in abbandono e degli orti cassintegrati, così amara che non può fare che bene, così profumata che non può che essere un veleno. Laggiù la mangiano con le fave, il legume che è solo un passo più in su del dannato lupino, io senza nient’altro in più del gesto di chi me l’ha offerta.


“Il Sole 24 Ore - domenica”, 23 aprile 2017

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