2.6.17

La clown dei diseredati (Geraldina Colotti)

Alessandra farneti
Si definisce una "outsiders”, la docente bolognese Alessandra Farneti, che insegna psicologia dello sviluppo presso la Facoltà di scienze della formazione a Bologna. Grazie a lei, Bologna ospiterà il primo corso di formazione universitaria post-laurea dedicato ai clown girovaghi. "È la mia piccola rivoluzione personale”, dice al “manifesto”. Un percorso inaugurato da Pach Adams, il celebre medico clown che cerca di alleviare il dolore attraverso il riso. Sulle sue orme, molti clown girovaghi si recano nelle zone di guerra in "missione di pace”, si moltiplicano corsi e viaggi di formazione, organizzati dal Gesundheit Institute, la Clinica della salute del medico americano. Da un viaggio in Russia e in Siberia, con tanto di naso rosso e palloncini colorati, ha preso corpo il volume di Alessandra Farneti La maschera più piccola del mondo (Alberto Perdisa editore). La prefazione è di Renzo Canestrari, decano della psicologia italiana.

Cosa spinge un'affermata docente universitaria a recarsi in Siberia vestita da clown?
Le disillusioni del ‘68, forse un bisogno mai sopito di utopia - per me quella delle prime società paleocristiane. A 55 anni mi sento ancora bambina. L'apparente stupidità del clown mi appare un antidoto alla follia che ci circonda, al mito del denaro, una traccia d'innocenza e ingenuità sommersa..

Per Dario Fo, il clown è un giullare beffardo, per Federico Fellini un Briccone che riflette l'Ombra dell'uomo perbene e lo spaventa, per Jean Starobinski, un contrabbandiere che supera le frontiere proibite. Nelle "missioni di pace" dei clown, invece l'elemento consolatorio sembra prevalere su quello disturbante e conflittuale. Con quale spirito ha intrapreso il suo viaggio?
Durante un seminario, tenuto ai miei studenti da Ginevra Sanguigno, collaboratrice di Pach Adams, la clown mi ha proposto di andare in Russia e in Siberia, dove si era recata anche ai tempi della Guerra fredda. Ho accettato ma, oltre al naso rosso, al costume e ai giocattoli per bambini che l'organizzazione di Adams ci chiedeva di portare, ho messo in valigia tutta la mia diffidenza. Nel corso dei secoli, la maschera del clown ha progressivamente perso gli elementi graffianti del giullare. Oggi, la si riduce spesso a una comicità sempliciotta, portatrice di un messaggio bonificato e rassicurante.Mi chiedevo che senso avesse fare i buffoni nei luoghi in cui la gioia sembra una bestemmia. Era il 2001. Sono partita pensando a un viaggio di ricerca sugli aspetti psicologici della clownerie, invece ho vissuto qualcosa di più... A Mosca il nostro gruppo - persone spinte dalle più diverse motivazioni personali e provenienti da altre parti del mondo - è stato accolto con entusiasmo dal popolo che dorme fra i cartoni e con ostilità dai nuovi ricchi, che vivono arroccati nei loro privilegi. In Siberia abbiamo visitato luoghi difficili: carceri, orfanotrofi, ospizi ai confini con la Mongolia. Abbiamo incontrato persone che, nonostante la miseria, cercano di mostrare la parte migliore di sé con orgoglio e dignità. I matrimoni misti non sono numerosi, ma i Mongoli - di religione buddista o sciamanica - convivono con i russi - prevalentemente cristiani ortodossi - e condividono le strutture pubbliche senza evidenti contrasti "Quando ve ne andrete, tutto tornerà come prima - dicevano gli interpreti”. Forse. E per questo ammiro Miloud Oukili, il clown del sottosuolo, che - come il pifferaio magico - si porta dietro i bambini che vivono nelle fogne di Bucarest e cerca di motivarli al futuro.

Nel volume, lei scrive che le banche o le istituzioni totali non possono dar spazio alla pericolosità del riso. Come siete stati accolti nelle carceri minorili siberiane?
Nel maschile è stata dura. C'era già un un teatro pronto per una recita che non avevamo preparato. Istintivamente abbiamo cominciato a "provocare” le guardie carcerarie e l'atmosfera si è distesa. Fra le ragazze, invece, c'era più voglia di ridere. Mi ha colpito l'organizzazione degli ambienti. Camerette misere ma curate, con lo stereo e i poster alle pareti, lasciavano intendere che, almeno all'interno, fossero garantite alcune piccole cose che contano per le adolescenti. Ma poi, quando una di loro mi ha scritto l'indirizzo dei genitori perché mandassi le foto scattate lì, una guardiana lo ha impedito.

Le donne clown - lei scrive sono sempre più numerose. Perché?
Oggi le donne si prendono gioco delle loro parti considerate meno accettabili socialmente, le esibiscono anzi per irridere i modelli dominanti. Nel mestiere del clown che allevia sofferenze c'è, però, anche un aspetto tradizionalmente femminile, quello del prendersi cura. Nel mio corso, le donne sono il 99%, nel viaggio in Siberia ce n'erano molte, alcune anche anziane.

Cosa ha trasmesso ai suoi studenti di quel viaggio?
Tra Bologna e Reggio, ai miei corsi vengono circa 1.200 ragazzi. In gran parte sono acritici, disillusi, disorientati, tutt'altro che disobbedienti. Se capita, seguono quelli di Comunione e Liberazione, che si danno da fare in ogni direzione. L'università è diventata un esamificio in cui la cultura soccombe. Pochi studenti sanno che nel 1917 in Russia c'è stata la rivoluzione d'Ottobre. Quella attuale è una generazione che si nutre di visuale, eppure ancora pochi professori usano le immagini - il cinema, per esempio - come supporto didattico per parlare di storia. Io quando posso lo faccio. Al ritorno dalla Siberia, avevo in mente quei ragazzi capaci di divertirsi con poco, le disparità sociali che oggi vigono in quei paesi. Ho proposto un analogo viaggio clowneristico nella nostra città per constatare il livello di reattività o diffidenza di fronte alla provocazione buffonesca. Immagini le facce dei colleghi quando mi hanno vista uscire vestita da clown...

Zazie nel metro, sguinzagliata dalla penna di Queneau. Risultati?
Siamo riusciti a far ridere qualche immigrato, a contagiare un vigile, a irritare qualche carabiniere. In generale non c'è stata chiusura, ma una discreta bonomia. Gli studenti hanno capito che significato può avere oggi quel tipo di maschera e quel tipo di messaggio. Il clown è ancora una chiave particolare di comunicazione. L'autoironia che posso insegnare, è anche autocoscienza. I miei studenti (che in futuro saranno educatori, psicologi), forse, la diffonderanno nei loro ambienti di lavoro, forse andranno nelle carceri come fa il gruppo dei Barabba's Clown di Don Chiari. Scriveva Apollinaire: "Nella pianura i saltimbanchi/ si allontanano lungo i giardini/ davanti all'uscio di grigie locande/ attraverso villaggi senza chiese/ i ragazzi camminano davanti/ e altri seguono sognando..."

“il manifesto”, supplemento viaggi, dicembre 2004


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