24.7.19

Socialismo e libertà (Erich Mühsam)


Erich Mühsam, Berlino, 6 aprile 1878 – Lager di Oranienburg, 10 luglio 1934



La libertà è un concetto religioso. Chi è rivoluzionario in nome della libertà possiede una natura religiosa, essere rivoluzionari e non religiosi significa tendere con mezzi rivoluzionari a scopi diversi da quelli della libertà. In altri termini: la risoluzione rivoluzionaria può scaturire da un bisogno interiore, dalla sensazione che la coercizione, la legge e la spersonalizzazione si sono fatte intollerabili - e allora è di natura religiosa; certo, può anche derivare dal basso calcolo della convenienza, quando la rivoluzione si rivela tra tutti il mezzo più inevitabile - e allora è di natura positivista. Il positivista è il bacchettone che va in chiesa rispetto a colui che si nutre di sentimenti religiosi, il negatore dell’impeto, dell’ebbrezza e dell’utopia: il dogmatico e il fatalista, per il quale la libertà rappresenta una fantasia piccolo-borghese e la lotta per l’esistenza un duello studentesco.
Io mi rivolgo a quei rivoluzionari che hanno come scopo la rivoluzione. La libertà è una condizione sociale, il cui fondamento è dato dal volontario consenso degli uomini al lavoro comune, reciprocamente integrato, e alla mutua salvaguardia della vita e dei suoi beni. Lo stato sociale della libertà poggia sull’autodeterminazione dell’individuo, ma l’autodeterminazione dell’individuo incontra i propri limiti nella libertà della collettività; infatti, dove non tutti sono liberi, nessuno può esserlo. La lotta per conquistare questa libertà, inconciliabile con ogni forma di autorità, con le oppressioni legislative, con la disciplina prestabilita o la violenza statalista, è alla base dell’idea religiosa dell’anarchia. Per la sua realizzazione è necessario il sovvertimento rivoluzionario dei presupposti stessi del convivere umano nella società, la creazione della sola base materiale sulla quale la libertà è possibile: vale a dire l’eguaglianza economica. Noi anarchici siamo socialisti, collettivisti, comunisti, non perché vediamo soddisfatte nella ripartizione egualitaria delle prestazioni lavorative e nella suddivisione dei prodotti le esigenze estreme delle aspirazioni umane, ma perché non riteniamo possibile alcuna battaglia in nome dei valori spirituali, per l’approfondimento e la differenziazione della vita - battaglia che costituisce il vero senso della libertà - finché gli uomini verranno al mondo e cresceranno in condizioni di diseguaglianza, finché la ricchezza interiore annegherà nell’indigenza materiale, finché la miseria spirituale e morale potrà travestirsi da ricchezza nel luccichio di una sapienza e di un potere corrotti.La libertà è un concetto religioso. Chi è rivoluzionario in nome della libertà possiede una natura religiosa, essere rivoluzionari e non religiosi significa tendere con mezzi rivoluzionari a scopi diversi da quelli della libertà. In altri termini: la risoluzione rivoluzionaria può scaturire da un bisogno interiore, dalla sensazione che la coercizione, la legge e la spersonalizzazione si sono fatte intollerabili - e allora è di natura religiosa; certo, può anche derivare dal basso calcolo della convenienza, quando la rivoluzione si rivela tra tutti il mezzo più inevitabile - e allora è di natura positivista. Il positivista è il bacchettone che va in chiesa rispetto a colui che si nutre di sentimenti religiosi, il negatore dell’impeto, dell’ebbrezza e dell’utopia: il dogmatico e il fatalista, per il quale la libertà rappresenta una fantasia piccolo-borghese e la lotta per l’esistenza un duello studentesco.
L’eguaglianza non ha nulla a che fare con ciò che oggi si chiama democrazia. L’eguaglianza delle democrazie borghesi si limita a riconoscere come unità votante ogni individuo con diritto di voto. Così la maggioranza di voti è ovviamente garantita a quella classe che, grazie ai propri privilegi economici, domina pressoché l’intero apparato capace di influenzare l’opinione pubblica; inoltre, le istituzioni per le quali il voto viene espresso sono per loro natura deputate a conservare e ad amministrare l’esistente. Se la maggior parte degli aventi diritto votasse con intenti rivoluzionari, gli eletti - qualunque fosse il loro orientamento - non potrebbero far altro nei loro organismi che agire in senso conservativo. Socialismo e libertà non sono praticabili sul terreno della democrazia; ma la democrazia nel senso di libertà ed eguaglianza è possibile soltanto sul terreno del socialismo perfettamente realizzato. Questa autentica democrazia, che equivale al predominio della comunità su se stessa, vale a dire l’autodeterminazione di ogni individuo nella consapevolezza della propria missione sociale, costringe all’eguaglianza economica e sociale, presupposto di ogni altra libertà.

Da Bismarxismus, 1927 in Dal cabaret alle barricate, Elèuthera, 1999

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