A Parigi per un convegno internazionale di cultura. Aldo Capitini, Walter Binni, Norberto Bobbio, Elena Benvenuti Binni (da "Album Capitini", Aguaplano, 2018) |
Aldo Capitini e Norberto
Bobbio furono legati da una lunga, salda amicizia i cui semi furono
gettati in quello che probabilmente fu il loro primo incontro,
avvenuto a Perugia nel 1936 (o forse all'inizio del 1937). Di questa
amicizia è un interessante documento la corrispondenza tra i due
amici, ora raccolta nel volume Aldo Capitini e Norberto Bobbio,
Lettere 1937-1968, scrupolosamente curato da Pietro Polito
(Carocci, Roma 2012).
Entrambi furono
intellettuali militanti, uomini della ricerca spassionata e del
dialogo. Ma le loro strade di ricerca furono molto divergenti e tutti
e due le percorsero strenuamente fino in fondo: Capitini la strada
della libera ricerca religiosa orientata alla prassi, Bobbio quella
del razionalismo critico con una buona dose di empirismo. Capitini è
aperto al dubbio: “Tutti quelli che mettono in azione un dubbio
metodico compiono un atto legittimo in quanto scartano le opinioni
cristallizzate del bene, e risvegliano l'anima alla ricerca,
all'ansia del meglio” (Scritti filosofici e religiosi, Protagon,
1994). Ma per il religioso Capitini non si può rimanere
costantemente nel dubbio; infatti, nella sua ricerca giunge
abbastanza presto ad alcune “persuasioni” che poi non abbandonerà
più. Per il filosofo Bobbio, invece, il dubbio è sempre presente, e
lui stesso è seminatore di dubbi: “Il filosofo è aperto al
dubbio, è sempre in cammino; il porto in cui arriva è soltanto una
tappa del viaggio senza fine, e occorre sempre essere pronti a
salpare di nuovo” (Elogio della mitezza e altri scritti morali,
Pratiche, 1998).
Già in una delle prime
lettere, datata 23 novembre 1946, Bobbio scrive all'amico: “Io mi
muovo su di una linea diversa, tanto per intenderci razionalista e
critica. Ma capisco - e ne ho avuto sempre gran beneficio - la tua
posizione religiosa-umanistica”. Cinque anni dopo, in una lettera
del 14 agosto 1951, Bobbio ribadisce: “Vedo che le nostre strade
sono divergenti: tu sempre più verso l'ideale del filosofo-profeta,
io sempre più verso l'ideale del filosofo positivo. Non credere però
che abbia rinunciato a comprendere, cioè a gettare qualche ponte per
attaccarmi ogni tanto anche all'altra strada. Non credere che non ami
più stare a colloquio... coi profeti. Ma preferisco normalmente cose
più terra terra, più solide, più ‘pronte a friggere', come
direbbe il Cattaneo. Chi sa che un giorno mi convinca che questa mia
strada non ha via d'uscita (ne ho sempre un persistente ma vago
presentimento). Ma sono impegnato a percorrerla sino in fondo”.
Capitini seguiva con
molta attenzione gli scritti che Bobbio andava via via pubblicando,
specialmente a partire da quelli stesi nella prima metà degli anni
cinquanta e raccolti nel 1955 nel volume Politica e cultura.
Ma nel carteggio i temi salienti sui quali il dialogo tra i due amici
verte sono quelli, strettamente interrelati, della riflessione che
Capitini va mano a mano svolgendo nei suoi scritti: la religiosità
aperta alla “compresenza di tutti”, la nonviolenza positiva, la
democrazia diretta (cui Capitini preferiva riferirsi con il termine
“omnicrazia”). È in relazione a questi temi che Capitini elabora
sempre più le sue “persuasioni” e che Bobbio interroga
criticamente l'amico, sollevando problemi che lo “turbano” - il
rapporto tra la concezione capitiniana della “produzione corale dei
valori” e lo storicismo, il problema del male, la praticabilità
della democrazia diretta - e rispetto ai quali, come scrive in una
delle sue ultime lettere, rimane alla fin fine “perplesso”. Dopo
la morte prematura di Capitini nel 1968, Bobbio ritornerà in modo
sistematico sul pensiero religioso-etico-politico dell'amico in due
impegnati e impegnativi scritti: La filosofia di Aldo Capitini
e Religione e politica in Aldo Capitini, inseriti nel libro
Maestri e compagni del 1984, e recentemente riediti in un
volumetto nelle vivaci e benemerite Edizioni dell'Asino: Il
pensiero di Aldo Capitini. Filosofia, religione, politica, 2011).
Nel pensiero di Capitini
la concezione della “compresenza di tutti” è fondamentale, ma è
problematica. E si presta a varie interpretazioni. L'interpretazione
più comprensibile, ma pur sempre irta di problemi, è quella di
un'“apertura nonviolenta a tutti gli esseri”: un'etica che
allarga il campo della nostra responsabilità morale verso tutto ciò
che vive, onde “ogni creatura senziente è degna di essere felice”
e ogni essere non senziente, ma vivente, è degno di vivere e di
perseguire il proprio sviluppo, il proprio telos. Per Capitini, la
religiosità è senso morale, un senso di “legame” con e
“riverenza” per ogni essere vivente, secondo quelli che
egli indicava come “i due significati di religione: legare,
riverire”. Una religiosità etica che si acquisisce attraverso un
processo interiore di “tramutazione”: un concetto tipicamente
capitiniano sul quale Bobbio, nel '75, svolse una densa relazione in
un convegno molto vivace su nonviolenza e marxismo (il testo della
relazione è stato ripubblicato in “Nuova Antologia”, 2012,
aprile-giugno). Qui siamo alla radice della concezione capitiniana
della nonviolenza come insieme inscindibile di pensiero e azione. La
fonte alla quale Capitini attinge sempre più e più ampiamente
nell'elaborazione di questa sua concezione è Gandhi, che fin dal
1931 considerò “punto di riferimento e di costruzione
etico-religiosa”. Si capisce così perché a Capitini premesse
tanto far conoscere direttamente Gandhi in Italia attraverso gli
scritti. Ed è proprio a Norberto che Aldo più volte nel carteggio
si rivolge insistentemente affinché l'amico si dia da fare presso
Einaudi per la pubblicazioni di scritti del Mahatma. “Ti raccomando
di seguire se Einaudi stampa qualche cosa di Gandhi. Il mercato è
vuoto” gli scrive già in una lettera datata 14 ottobre 1957.
Capitini non fece in tempo a vedere la pubblicazione di Gandhi alla
quale tanto teneva, che uscì nel 1973 con il titolo Teoria e
pratica della non-violenza.
Bobbio prese seriamente
la nonviolenza, perché prendeva sempre sul serio le cose che
riteneva serie. È in Bobbio, infatti, che Capitini trova fra gli
intellettuali italiani uno dei più interessati e attenti
interlocutori critici sulla nonviolenza. Entrambi gli amici scrissero
pagine di grande interesse e attualità sul problema della guerra e
delle vie alla pace. Capitini privilegiò, spendendosi per tutta la
vita in impegni pratici, la via della nonviolenza positiva: “Una
persuasione che pervade mente, cuore e azione”, “scelta severa e
tremenda” che “anticipa di colpo il fine nel mezzo”. Bobbio
riteneva più percorribile, ma senza farsi troppe illusioni, la via
giuridico-istituzionale che mira alla creazione di un governo
mondiale democratico detentore del monopolio della “forza”. Le
due vie non si escludono a vicenda e sono ambedue difficili. Ma
esistono forse vie facili?
L'Indice, febbraio 2013
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