La notizia non è
nuovissima. Il naufragio ristale al 2015 e la notizia ai primi giorni
dell'anno, contenuta in un libro (Naufraghi
senza volto, Cortina Editore),
che racconta l'impegno, a volte coronato da successo, di Cristina
Cattaneo, un eccellente medico legale e patologo forense, che si è
data la missione di identificare le vittime del mare e strapparle
all’oblio. Mi piace molto il commento di Romano Luperini, uno tra i
più importanti storici e critici letterari del nostro tempo, che non
ha mai dismesso l'impegno politico ed etico della sua giovinezza
sessantottina. (S.L.L.)
La dottoressa Cattaneo,
che fa l’autopsia di chi affoga nel Mediterraneo nel tentativo di
raggiungere dall’Africa l’Italia, ha scoperto che la salma di un
ragazzo (avrà, dice, quattordici anni) proveniente dal Mali aveva
nei vestiti qualcosa d’insolito. Guarda meglio e scopre, scritta in
arabo e in francese, la pagella scolastica (il “Bulletin scolaire”)
del ragazzo, cucita in una tasca in modo che non andasse perduta,
come sino a non molti anni fa facevano le madri dei nostri emigrati
con qualche banconota e immagine devota che dovevano aiutare il
giovane a sopravvivere nel paese straniero dove era diretto. Guarda e
vede che i voti sono ottimi. Quel ragazzo era certamente fra i più
bravi della sua classe. Riteneva evidentemente quella pagella un bene
prezioso da esibire in Europa al momento opportuno. Probabilmente, si
illudeva, gli europei non avrebbero potuto respingere un ragazzo così
bravo. Vista la pagella, lo avrebbero accolto e gli avrebbero dato un
lavoro degno della sua preparazione.
Questo piccolo episodio
mi ha turbato. Forse per qualche buona ragione che si presta ad
alcune considerazioni.
1. I risultati scolastici
ottimi erano per il ragazzo e la sua famiglia motivo di orgoglio e di
speranza.
2. La istruzione
scolastica per lui e la sua famiglia era evidentemente un valore da
salvaguardare, e una garanzia di promozione sociale.
3. In Africa, e comunque
in quel paese del Mali, si ritiene che l’Italia come qualunque
altro paese europeo sia un paese civile capace di valorizzare i
giovani che hanno ottimi risultati scolastici.
Dunque in Africa si crede
che l’Italia riconosca l’importanza della scuola e della
formazione che essa impartisce. Evidentemente si ignora che da noi i
giovani o abbandonano in massa la scuola prima del diploma o appena
diplomati e laureati restano disoccupati e fuggono all’estero
perché nel nostro paese nessuno riconosce il valore dei risultati
raggiunti attraverso studi scolastici regolari.
Il mio turbamento insomma
non è solo umanitario, è politico. Non nasce solo dalla pietà ma
dal riconoscimento che quel povero ragazzo era vittima di una
illusione che in fondo anche noi condividiamo. L’Italia non è un
grande paese civile?
Ma lo è davvero? Mi
chiedo: chi sarebbe da preferire in un confronto di valori? Chi,
insomma, è più civile? Quella famiglia del Mali che ingenuamente
crede in ciò in cui credevano sino a trent’anni fa i nostri padri
oppure gli italiani che non accolgono il ragazzo, lo lasciano
affogare nel Mediterraneo e, se fosse arrivato sano e salvo, ne
avrebbero disprezzato la preparazione e la cultura, ritenendo le
proprie “naturalmente” superiori?
Penso che la storia di
questo adolescente andrebbe raccontata e discussa in ogni classe
d’Italia. I nostri studenti, le loro famiglie e le stesse
istituzioni scolastiche e governative avrebbero molto da imparare da
questo ragazzo africano e dal suo “bulletin scolaire” inutilmente
cucito in una tasca.
Dal blog La
letteratura e noi, 22 gennaio 2019
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