Nel sito Il primo
amore Roberto Gerace estrae da
una recentissima raccolta di saggi, come significativo dell'approccio
del suo autore, Andrea Inglese, alla realtà e alla letteratura, il
brano che segue, di cui sottolinea l'attualità, ricordando tra
l'altro che Saviano sarà processato per aver definito Matteo Salvini
“ministro della Mala Vita”. (S.L.L.)
... il caso di Saviano ha
finito per costituire un rilevatore prezioso del diverso grado di
consapevolezza che il paese ha del suo male maggiore. Mi limito qui a
considerare le reazioni di due gruppi sociali ben distinti, quello
dei politici e quello dei letterati. La classe politica di governo,
attraverso il suo maggiore rappresentante, ossia il presidente del
Consiglio, si è espressa in modo inequivocabile sulla popolarità
della campagna antimafia di Saviano. Nel corso di una conferenza
stampa il 16 aprile 2010, Berlusconi accusò fiction televisive come
la Piovra e autori come Saviano di enfatizzare il fenomeno
mafioso in Italia agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Non
potendo più essere nella negazione pura e semplice (“la mafia non
esiste”), il potere politico assume quelle che Di Girolamo chiama
responsabilità omissive: “quando si sottovaluta il fenomeno
mafioso ritenendolo un problema marginale della politica nazionale,
di natura solo criminale e relativo ad alcune aree meridionali”.
Naturalmente queste responsabilità non sono prerogativa dei soli
politici del centrodestra, ma emergono ovunque l’insistenza della
denuncia è screditata come eccessiva, e si richiede che venga
ridimensionata, magari in nome dell’orgoglio napoletano o campano…
L’altro caso
significativo è costituito dalla reazione dei letterati. Che in un
paese di lettori riluttanti come il nostro, esistano ancora dei
letterati, è in un certo senso merito di Saviano avercelo ricordato.
Gomorra e il lavoro giornalistico successivo restituiscono
centralità, nel dibattito pubblico, al fatto che milioni di
cittadini italiani non siano ancora passati, nel XXI secolo,
dall’arcaico “Stato dei favori” al moderno “Stato di
diritto”. Questa circostanza, agli occhi dei letterati, è del
tutto secondaria, in quanto i problemi importanti sono tutti e sempre
di ordine esclusivamente letterario. Un letterato, d’altra parte,
si distingue da uno scrittore proprio perché dimostra che il “mondo
può attendere”, e che prima di tutto vengono le questioni del
bello scrivere e del buon intreccio. Non si vuole qui riesumare
l’opposizione solita tra “impegno” e “disimpegno”, ma
riconoscere quanto sosteneva Fortini: “Non c’è
lettura-scrittura, per degradata che sia, che non contenga,
foss’anche in minima parte, un appello alla libertà-azione”. Se
Saviano ha fatto di questo appello il motore della propria scrittura,
ciò non toglie che anche l’opera letteraria meno immediata e
accessibile custodisca in sé il medesimo sogno d’emancipazione e
giustizia. Soltanto i letterati se ne dimenticano, vedendo come una
minaccia il rapporto troppo stretto tra la scrittura e il mondo.
In un’epoca dove tanto
si lamenta la marginalità della parola letteraria, Saviano, con i
suoi libri e i suoi interventi, ha smosso montagne, strappando la
mafia dalla zona anestetizzante del risaputo. I letterati, dal canto
loro, si sono soprattutto dati da fare perché venga contrastata la
comune opinione che Gomorra sia un’opera letteraria importante.
Questo costituisce, per loro, il male maggiore della cultura
italiana.
Da La civiltà idiota,
Valigie Rosse, 2019 nel sito “Il
primo amore”.
Nessun commento:
Posta un commento