Quando Dante arriva nel
Limbo e vede la «filosofica famiglia», Aristotele è la figura di
più alto rilievo: «Tutti lo mirano, tutti onor li fanno». Non era
un elogio di circostanza, ma una presa di posizione decisa in favore
di un filosofo fino a poco tempo prima guardato con sospetto,
accusato di sostenere teorie incompatibili con la verità cristiana.
Il suo fascino era troppo forte, la forza dei suoi ragionamenti
ineccepibile: Aristotele è colui che ha mostrato di cosa è capace
la mente umana, articolando tutte le conoscenze in un sistema
completo, che rispecchia la struttura del mondo.
Aristotele stesso, del
resto, che non peccava certo di modestia, aveva esaltato a più
riprese l’importanza del suo progetto, convinto che grazie a lui il
sapere umano avesse (quasi, bontà sua) raggiunto la perfezione.
Conoscere altro non è
che organizzare, disporre ogni cosa al suo posto, fare ordine, in
modo che le parti e il tutto si tengano e la verità possa finalmente
trionfare. Aristotele «il maestro di color che sanno», appunto,
come si ripete ogni volta che lo si nomina. Il problema, però, è
che quando si celebra troppo si finisce per imprigionare il celebrato
in un’immagine di maniera, trasformandolo in una statua: alto sul
suo piedistallo, con lo sguardo severo, in una posa seriosa, intento
a ripetere qualcosa che non interessa più a nessuno.
Anche questo è successo
ad Aristotele, che probabilmente non se ne sarebbe troppo
preoccupato, continuando a fare quello che ha sempre fatto: indagare,
cercare, analizzare. Perché, come Francesco Ademollo e Mario Vegetti
mostrano nel libro Incontro con Aristotele. Quindici lezioni
(Einaudi, 2016), questa è la cifra più propria del suo pensiero,
un’inesauribile curiosità per tutto quello che ci circonda, e un
piacere quasi fisico per la ricerca e la scoperta.
Il sistema, scrivono i
due autori, «costituiva semmai un orizzonte tendenziale di
unificazione»; ma quello che davvero appassiona Aristotele è
affrontare i problemi e cercare di risolverli. Non c’è niente che
non meriti un po’ di attenzione e di tutto Aristotele s’interessò,
senza distinguere tra alto e basso, nobile o volgare.
Trascorse vent’anni con
Platone, discutendo di dialettica, astronomia e metafisica; ma
intanto raccoglieva le opinioni della gente comune, convinto che
tutti potessero offrire spunti utili per avanzare nella comprensione
dei problemi. E per le sue ricerche scientifiche non si vergognò di
frequentare allevatori, pescatori, cacciatori, interrogandoli sulla
respirazione degli uccelli o su come copulano i polpi. Quando non ci
pensava direttamente lui, inseguendo una rana in uno stagno o
scrutando con attenzione un embrione di pollo: i suoi lavori
zoologici (che costituiscono una parte consistente della sua
produzione scritta, non andrebbe mai dimenticato) sono pieni di
allusioni alle sue ricerche sul campo. «Non si deve nutrire un
infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte
le realtà naturali vi è qualcosa di meraviglioso»
Filosofia non vuol dire
del resto proprio questo, un amore (philia) per la conoscenza
(sophia), tutta? «La natura offre grandissime gioie a chi
sappia comprenderne la causa, cioè sia autenticamente filosofo».
Così, ad avere la pazienza di leggerli (perché a volte ci vuole
proprio pazienza: i testi di cui disponiamo sono gli appunti
personali delle lezioni, non opere destinate alla pubblicazione), si
scopre che gli scritti di Aristotele sono pieni di problemi, domande,
difficoltà — piccole crepe nel poderoso edificio del sapere,
insignificanti solo in apparenza, soprattutto quando in discussione è
l’uomo.
Si prenda l’anima. Da
scienziato rigoroso quale era, Aristotele aveva costruito un intero
trattato per spiegare che l’anima esprime la vita di un corpo, il
fatto che un corpo vive: con buona pace del suo maestro Platone non
ha senso affermare che è immortale o separata dal corpo. Era una
tesi ragionevole, che rispondeva all’esigenza di collocare lo
studio dell’essere umano all’interno del sistema fisico. Ma
davvero noi siamo completamente riducibili al mondo fisico? Tutti i
nostri pensieri sono espressione di processi corporei? Platone lo
aveva negato: siamo anche altro. Coerentemente a quello che aveva
sostenuto nelle pagine precedenti del suo trattato, Aristotele
avrebbe dovuto affermarlo. Forse lo pensava pure. Ma non ne era
sicuro e alla fine non si risolse, tenendo aperte entrambe le
possibilità
Ha fatto male, obietterà
qualcuno, perché il discorso risulta incoerente. Ma forse abbiamo
noi raggiunto una risposta esaustiva, capace di eliminare tutti i
dubbi? Del resto, il problema della ragione umana è ancora più
delicato. Noi siamo animali razionali (la definizione, al solito, è
di Aristotele). Disponiamo della ragione per orientarci nel mondo e
per regolare le nostre relazioni con gli altri uomini: per conoscere
e per agire. Sembrano affermazioni scontate; ma le due attività
spesso sono in contrasto tra di loro. Per agire, per orientare le
nostre azioni, abbiamo stabilito alcuni criteri regolatori: il bene e
il male, il giusto e l’ingiusto… Ma questi criteri non sembrano
prioritari mentre usiamo la nostra ragione per conoscere il mondo che
ci circonda. A volte non fa problema, ma a volte sì, e pure tanto,
quando si pensa ai tanti temi sensibili in discussione oggi, dalla
clonazione alla ricerca sugli embrioni. Cosa conta di più, allora,
la conoscenza o l’azione morale? Quando l’uomo realizza veramente
la sua natura di animale razionale: dedicandosi alla conoscenza o
alla politica? È il grande dilemma tra la vita attiva e vita
contemplativa: Aristotele lo ha posto e ancora oggi se ne discute.
Noi possiamo criticarlo
per le sue esitazioni; di certo lui avrebbe sorriso vedendoci
annaspare nel momento in cui comprendiamo l’entità delle questioni
in discussione, quando ci rendiamo conto che quello che sembrava
scontato non lo era. È questa la grandezza di Aristotele, ieri come
oggi. Molte delle sue dottrine, dalla difesa della schiavitù al
geocentrismo o al finalismo, sono ormai superate. Altre probabilmente
lo diventeranno. Ma la lezione di metodo, l’onestà che lo porta a
segnalare i problemi che rimangono irrisolti e la pazienza con cui
continua a tornarci sopra sono la dimostrazione migliore di cosa è
la filosofia.
«Quelli che vogliono
trovarsi con le difficoltà risolte prima devono averle affrontate
bene, perché la liberazione dalle difficoltà è la soluzione delle
difficoltà che si sono affrontate prima; ma non è possibile
sciogliere i nodi che non si conoscono e la filosofia aiuta appunto a
vedere i nodi che si trovano nelle cose». In un’epoca come la
nostra, ossessionata dal bisogno di risposte, sono parole che
andrebbero meditate con attenzione.
Il Corriere della sera/La
Lettura – 29 maggio 2016
Nessun commento:
Posta un commento