Esemplare Il cielo in una stanza; parole fascinose e intense,
musica insieme insinuante e potente: una rivelazione. Ma la
letterarietà del testo suggeriva anche suggestive ambiguità. Quei
versi «mi sembra un organo che vibra per me e per te» mandarono in
visibilio migliaia di adolescenti: sia perché sembrava davvero
«molto poetica» («alberi infiniti...»), sia perché sembrava il
suo esatto contrario, ovvero una roba molto prosaica e fin
pornografica. Insomma, nella calura estiva delle nostre stanzette,
non si dubitava di cosa si intendesse per «organo che vibra».
Difficile dire se fosse l’intuizione oltraggiosa di un componente
della nostra piccola comunità giovanile, scatenata dalla
combinazione tra velleità culturali e pulsioni sessuali mortificate,
tra suggestioni letterarie e sessuofobia parrocchiale, tra scoperta
della «parola innamorata» e delle polluzioni notturne: o se,
invece, fosse il paratesto che Gino Paoli buttava lì, tra noncuranza
e provocazione, destinato a chi lo potesse e volesse accogliere.
[...].
Il cielo in una stanza è del 1960: e non poteva che essere
così, simbolicamente. Quella canzone segna il crinale tra due epoche
e due Italie, è l’incipit dei «favolosi ’60», annuncia ciò
che sta per avvenire. E ciò che sta per avvenire - assai prima che
politico - è umano: è, appunto, la scoperta del corpo. Le giovani
generazioni fino ad allora asessuate si accorgono di averlo, un
sesso; la «mortificazione della carne» non era esclusivamente (e
forse neppure principalmente) l’esito di una morale cattolica
sessuofobica; era, piuttosto, il risultato di una frustrazione
economico-sociale, che portava alla morigeratezza non come scelta di
castità bensì come consuetudine alla penuria e formazione
all’austerità. Nella provincia italiana, specie quella
centromeridionale - con l’eccezione delle comunità contadine, più
favoleggiate che reali - il sesso era attività borghese, alto
borghese e aristocratica; nell’immenso magma piccolo borghese e
infimo borghese, l’attività sessuale era manovrata con prudenza e
parsimonia, era un genere scarso e una merce poco diffusa - se non
nei deliri degli adolescenti.
Ma il «miracolo economico» che sopravveniva portava con sé
l’abbondanza e il vertiginoso incremento dei consumi riguardava
anche quel bene rappresentato dal piacere; ma prima ancora di
presentarsi come fenomeno consumistico (e, a ben vedere, ci vorranno
dei decenni) l’approccio al sesso fu potentemente riformulato da
una sorta di rivoluzione culturale: Il cielo in una stanza ne
è tra le prime manifestazioni. Si pensi, innanzitutto, al fatto che
la storia che vi si racconta è un ambiente: è il letto di due
amanti, «abbandonati come se non ci fosse più niente, più niente
al mondo». Tutta la storia è in quel letto ed è quel letto più il
soffitto che sta sopra quel letto. «Niente, più niente al mondo»
appunto. Comunque la si giri, fossero pure quegli amanti due sposi in
viaggio di nozze, saremmo comunque in pieno peccato: e proprio
perché, a definire davvero il peccato, secondo la morale
tradizionale, non è l'assenza di un vincolo matrimoniale, bensì la
tensione totalizzante dell’incontro sessuale: dove c’è quello e
«niente più niente al mondo», là c’è il Peccato. Gino Paoli,
narrando l’unità spazio-temporale di quell’amplesso in quel
letto, canta la bellezza del peccato come raramente era stato fatto e
raramente si farà. La costruzione del testo, la musica (uno slow che
si inerpica nella parte centrale), l’interpretazione «raccontano»
il coito: la preparazione, la crescita, l’acme, lo scioglimento
della tensione, l’abbandono. E fanno ciò con un testo, una musica,
un’interpretazione disadorni e come scarnificati, ridotti
all’essenziale. L’essenzialità di quel linguaggio è già
sovversiva e lirica, insieme; è la traccia di un nuovo canone, che
ribalta i canoni precedenti, specie quelli della canzonetta: qui c’è,
in genere, ridondanza, superfluo, accumulo: di aggettivi, di
immagini, di metafore, quasi a compensare quella esiguità, di cui si
diceva, di amore carnale e della stessa carnalità come dimensione
fisica e soggettiva della persona. Il cielo in una stanza
dunque, è insieme, il manifesto di una nuova poetica e di una nuova
sensualità, finora taciuta e che inizia infine a manifestarsi come
tendenza minoritaria ma diffusa, appartata ma irresistibile.
Bisognerà aspettare ancora quasi quindici anni prima che - non tanto
il Sessantotto, come erroneamente si crede, ma i primi anni ’70 -
trasformassero quella tendenza minoritaria in costume collettivo e,
progressivamente, in consumo di massa.
Da La musica è leggera. Il Saggiatore, 2012
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