11.3.19

Non solo canzonette. “Il cielo in una stanza” e la scoperta del corpo (Luigi Manconi)



Esemplare Il cielo in una stanza; parole fascinose e intense, musica insieme insinuante e potente: una rivelazione. Ma la letterarietà del testo suggeriva anche suggestive ambiguità. Quei versi «mi sembra un organo che vibra per me e per te» mandarono in visibilio migliaia di adolescenti: sia perché sembrava davvero «molto poetica» («alberi infiniti...»), sia perché sembrava il suo esatto contrario, ovvero una roba molto prosaica e fin pornografica. Insomma, nella calura estiva delle nostre stanzette, non si dubitava di cosa si intendesse per «organo che vibra».
Difficile dire se fosse l’intuizione oltraggiosa di un componente della nostra piccola comunità giovanile, scatenata dalla combinazione tra velleità culturali e pulsioni sessuali mortificate, tra suggestioni letterarie e sessuofobia parrocchiale, tra scoperta della «parola innamorata» e delle polluzioni notturne: o se, invece, fosse il paratesto che Gino Paoli buttava lì, tra noncuranza e provocazione, destinato a chi lo potesse e volesse accogliere. [...].
Il cielo in una stanza è del 1960: e non poteva che essere così, simbolicamente. Quella canzone segna il crinale tra due epoche e due Italie, è l’incipit dei «favolosi ’60», annuncia ciò che sta per avvenire. E ciò che sta per avvenire - assai prima che politico - è umano: è, appunto, la scoperta del corpo. Le giovani generazioni fino ad allora asessuate si accorgono di averlo, un sesso; la «mortificazione della carne» non era esclusivamente (e forse neppure principalmente) l’esito di una morale cattolica sessuofobica; era, piuttosto, il risultato di una frustrazione economico-sociale, che portava alla morigeratezza non come scelta di castità bensì come consuetudine alla penuria e formazione all’austerità. Nella provincia italiana, specie quella centromeridionale - con l’eccezione delle comunità contadine, più favoleggiate che reali - il sesso era attività borghese, alto borghese e aristocratica; nell’immenso magma piccolo borghese e infimo borghese, l’attività sessuale era manovrata con prudenza e parsimonia, era un genere scarso e una merce poco diffusa - se non nei deliri degli adolescenti.
Ma il «miracolo economico» che sopravveniva portava con sé l’abbondanza e il vertiginoso incremento dei consumi riguardava anche quel bene rappresentato dal piacere; ma prima ancora di presentarsi come fenomeno consumistico (e, a ben vedere, ci vorranno dei decenni) l’approccio al sesso fu potentemente riformulato da una sorta di rivoluzione culturale: Il cielo in una stanza ne è tra le prime manifestazioni. Si pensi, innanzitutto, al fatto che la storia che vi si racconta è un ambiente: è il letto di due amanti, «abbandonati come se non ci fosse più niente, più niente al mondo». Tutta la storia è in quel letto ed è quel letto più il soffitto che sta sopra quel letto. «Niente, più niente al mondo» appunto. Comunque la si giri, fossero pure quegli amanti due sposi in viaggio di nozze, saremmo comunque in pieno peccato: e proprio perché, a definire davvero il peccato, secondo la morale tradizionale, non è l'assenza di un vincolo matrimoniale, bensì la tensione totalizzante dell’incontro sessuale: dove c’è quello e «niente più niente al mondo», là c’è il Peccato. Gino Paoli, narrando l’unità spazio-temporale di quell’amplesso in quel letto, canta la bellezza del peccato come raramente era stato fatto e raramente si farà. La costruzione del testo, la musica (uno slow che si inerpica nella parte centrale), l’interpretazione «raccontano» il coito: la preparazione, la crescita, l’acme, lo scioglimento della tensione, l’abbandono. E fanno ciò con un testo, una musica, un’interpretazione disadorni e come scarnificati, ridotti all’essenziale. L’essenzialità di quel linguaggio è già sovversiva e lirica, insieme; è la traccia di un nuovo canone, che ribalta i canoni precedenti, specie quelli della canzonetta: qui c’è, in genere, ridondanza, superfluo, accumulo: di aggettivi, di immagini, di metafore, quasi a compensare quella esiguità, di cui si diceva, di amore carnale e della stessa carnalità come dimensione fisica e soggettiva della persona. Il cielo in una stanza dunque, è insieme, il manifesto di una nuova poetica e di una nuova sensualità, finora taciuta e che inizia infine a manifestarsi come tendenza minoritaria ma diffusa, appartata ma irresistibile. Bisognerà aspettare ancora quasi quindici anni prima che - non tanto il Sessantotto, come erroneamente si crede, ma i primi anni ’70 - trasformassero quella tendenza minoritaria in costume collettivo e, progressivamente, in consumo di massa.

Da La musica è leggera. Il Saggiatore, 2012

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