Carmela Ferro negli anni 60 del Novecento |
Carmela in galera non ci
andò. Non subito, almeno. Restò libera per anni. Grazie ai suoi
figli, dieci, portati in grembo uno dopo l’altro per amore, sì, ma
anche per sfuggire al carcere. Per evitare quella cella che aspettò
invano per anni una donna, contrabbandiera magari, ma pur sempre una
madre. Che la legge protegge dalla galera. E lei, Carmela, questa
cosa la sapeva bene.
Carmela Ferro, 74 anni,
si è spenta due giorni fa nei vicoli di Genova proprio accanto a una
dei suoi figli, una di quelli che le sono rimasti. Qualcuno portato
via dal destino, qualcuno dalla malavita. Quella malavita della quale
lei, napoletana trapiantata nei carruggi, era stata regina
incontrastata fino alla fine degli anni Sessanta e anche più avanti.
Quando si diceva che nei vicoli di Genova la legge la dettava
Marechiaro. Quello era il nomignolo di sua madre, ma poi le era
scivolato addosso e le era rimasto appiccicato anche quando era
diventata la moglie di Francesco Fucci «Mano ’e pece», boss
storico della Napoli trapiantata sotto la Lanterna, un uomo sempre
con la pistola in mano.
Il rispetto Carmela,
lineamenti fini, capelli biondi e occhi verdi, se lo era conquistato.
Tanto che addirittura la sua fama aveva scavalcato gli ambiti
ristretti dei carruggi ed era arrivata a Roma, fino a uno come
Vittorio De Sica, che la storia di Marechiaro e di come fece venire
al mondo i suoi dieci figli, l’aveva fatta diventare un film. Ieri,
oggi e domani, il titolo. E Marechiaro aveva ispirato
un’indimenticabile Sophia Loren nel ruolo di Adelina, mamma
contrabbandiera, moglie di Carmine, Marcello Mastroianni,
disoccupato. Adelina-Loren vive a Napoli e per sfuggire alla galera
fa figli e ancora figli, vivendo in uno stato di gravidanza perenne.
Fino a che...
Come Carmela. Chi la
conobbe da giovane dice che bastava una sua parola e Genova, quella
Genova che vive da piazza De Ferrari in giù, sotto via Garibaldi
fino al mare, si fermava. All’epoca nei vicoli c’era la legge dei
boss napoletani e tanti immigrati conoscevano Marechiaro che si beccò
19 mesi per contrabbando di sigarette. I genovesi, invece, non ci
andavano nei carruggi, a meno di non abitarci. Allora era un’altra
cosa. Carmela era una donna «d’onore». Chi l’ha incontrata
negli ultimi anni la descrive ormai come una bisnonna, una signora
anziana con molti acciacchi, divenuta anche sensibilmente devota. Una
sola cosa restava di quell’antica fierezza. Nello sguardo con il
quale guardava i suoi figli, e poi i nipoti e i pronipoti, c’era lo
stesso profondissimo amore.
Sulla porta del suo
palazzo ora c’è appeso un biglietto attaccato con un fiocchetto
viola: «Funerali martedì alle 11», recita. La gente passa
indifferente. Marechiaro è un nome che non dice niente ai più
giovani e anche quelli di mezz’età hanno i ricordi appannati. Non
è più come quando, a decine e decine, i napoletani-genovesi si
erano radunati alla stazione per vederla portare via. E tentare di
fermare quei poliziotti che dovevano condurla - finalmente - in
galera. Era il 1968. L’avevano beccata Carmela, tra una gravidanza
e l’altra. Quando non era latitante. «Scappavo, se non restavo
incinta», disse lei. E, fiera, salutò i suoi parenti salendo sul
treno che la portava a Napoli, in carcere. Una napoletana ha scritto
un capitolo nella storia dei vicoli di Genova. Strano. Ma vero. Quel
pezzo di Napoli che viveva dietro e grazie al porto oggi è
offuscata. E la morte di Marechiaro chiude un capitolo.
il Giornale, 25 ottobre
2004
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