Pietro Citati |
Qualche volta, viene il
dubbio che l'Europa abbia finito di capire il resto del mondo. Siamo
nati per capire: non abbiamo mai fatto altro che questo: fin dai
tempi di Erodoto, nei momenti più oscuri della nostra storia o in
quelli della guerra e della dominazione, abbiamo compreso le forme
mentali, l'anima, la psicologia, l'immaginazione, il passato degli
altri popoli, come nessun altro. Ma chi potrebbe sostenere che oggi
l'Europa capisca l'Islam? L'ha compreso nel Medioevo, quando le due
civiltà si affrontarono e i filosofi dell'Occidente andavano a
scuola di quelli arabi e persiani: a Bisanzio, nel XIV secolo, dove i
dotti delle due religioni discutevano intorno agli dei; e all'inizio
del secolo scorso, quando tutti leggevano le Mille e una notte,
i dotti romantici studiavano con passione le civiltà del Medio
Oriente e Goethe scrisse il Divano occidentale-orientale.
Malgrado gli anni passati, gli studi, le traduzioni, la scienza e il
turismo, oggi siamo più lontani dall'Islam che al tempo di Carlo
Magno, quando, tra i monti di Roncisvalle, circondato dagli Arabi,
sonò sì terribilmente Orlando.
In Italia le traduzioni
dei libri arabi e persiani sono pochissime. Ma anche in Francia e in
Inghilterra, dove è esistita una grande arabistica ed iranistica e
le traduzioni sono molto più numerose (non sufficienti), nessuno
potrebbe sostenere che l'Islam questa realtà immensa faccia parte
della coscienza dell'uomo di cultura europeo o tanto più di chi
frequenta le librerie. Chi conosce la fioritura ecumenica dell'
Islam, che attraverso le conquiste, i viaggi, i commerci e le
fantasie abbracciava il mondo dalla Spagna all' Oceano Pacifico e al
Giappone? Chi sospetta gli splendori della civiltà classica araba e
persiana? Chi suppone che là esistessero poeti capaci di avvolgere
l'universo in tappeti o corone di metafore, come Dante e Shakespeare?
E che il pensiero religioso islamico sia stato, talvolta, più ardito
e vertiginoso del nostro? Tranne gli specialisti, nessuno conosce il
sufismo: solo pochi frequentatori dei musei di New York e di Istanbul
hanno contemplato la luce prodigiosa che si raccoglie nelle miniature
persiane; e chi potrebbe immaginare che i principi mongoli
islamizzati questi tagliatori di teste leggevano i testi mistici più
ardui e, a gara coi loro maestri, muovevano sulla pergamena lo
squisito pennello del miniaturista?
Molti sono convinti che
l'Islam sia sommario, rozzo e fanatico, e non conoscono l'infinita
sottigliezza di Sohrawardi e di Attar, di Rumi e di al-Hallaj, di Ibn
Arabi e Al-Ghazali. Ascoltando i discorsi di Khomeini e di Saddam
Hussein contro i Grandi Satana, tutti pensano, ad esempio, che un
abisso più incolmabile che in qualsiasi fantasia medioevale europea
divide nell'Islam il bene dal male, Dio da Satana. Nella tradizione
islamica, Satana è invece un'immensa figura patetica. Quando Allah
comandò agli angeli di inchinarsi davanti ad Adamo, dove aveva
riflesso la sua immagine (e lì cominciò quello che, secondo alcuni
fu un culmine, per altri un disastro: un mondo antropocentrico), essi
si piegarono alla sua volontà. Soltanto Satana si ribellò. Lo fece
perché era il solo vero monoteista. Amava Allah più puramente di
ogni altro, e non poteva venerare che la sua essenza incomunicabile.
Quando venne segregato nel più buio degli inferi, Satana non chiese
se la condanna era un bene o un male: disse soltanto che scendeva dal
soglio di Dio, come scende la pioggia dalla sua grazia, e l'accolse
con tutto il fervore della propria anima, che finalmente serviva da
bersaglio alla freccia di Allah. Mai, in nessun teologo occidentale,
e nemmeno in nessuna delle nostre intelligentissime mistiche, i
rapporti tra Dio e il suo avversario sono stati intesi con un tale
ardire e una tale delicatezza.
Allah, questo Dio che
ignoriamo e calunniamo, non è che il nostro Dio, ancora al centro
della vita. E se lo contempliamo nei grandi libri o attraverso le
preghiere e i gesti dei suoi fedeli o gli spazi delle moschee di
Cordoba e di Isfahan, che ci danno mai e sempre il suo volto,
proviamo commozione e tremore. E' Lui, chi potrebbe negarlo? Eppure i
suoi tratti sono più accusati, come se una riflessione più profonda
li avesse portati all'estremo delle possibilità, o una riflessione
più ingenua non avesse misurato e moderato i colori. Allah è
l'Unico. Sta immensamente lontano da noi, e noi non possiamo
conoscerlo: l'unica conoscenza che possiamo avere di lui, è la
coscienza di non poterlo conoscere. Nessun Cristo incarnato, nessuna
Maria dagli sguardi e dalle mani soavi media e intercede per noi:
l'unico rapporto che ci lega è la mancanza di ogni rapporto; e se
l'universo è una sua creazione, è anche un fittissimo velo,
composto di centinaia di migliaia di veli, che ci nasconde per sempre
il suo volto. Allah è tremendo: un fuoco, come il Dio della Bibbia.
Appena crediamo di essere
condannati per sempre alla lontananza, ecco che questo Dio remoto,
questo Dio inconoscibile, questo Dio assurdo, questo Dio della forza
e del terrore, ci diventa vicino, come forse nemmeno Cristo lo è mai
stato: più prossimo della vena del nostro collo, del nostro respiro,
della nostra immagine riflessa nello specchio. Conosce ciascuno dei
nostri pensieri; e se non lo scorgiamo è soltanto perché ci è
troppo vicino. Mentre noi crediamo di vedere e di agire, lui solo
vede e agisce per noi, anima segreta di tutti coloro che parlano e si
muovono sulle scene del mondo. Ci ama con una tenerezza inesauribile.
La sua misericordia è simile a un mare senza confini: se in questo
mare lavassimo le lordure di tutti i nostri peccati, l' acqua
rimarrebbe limpida come l'acqua di fonte. Egli dice: Se voi venite
verso di me camminando, io verrò correndo verso di voi. Egli
dice: Se io vi preservassi dal peccato, voi sareste privati della
mia misericordia. Se tutti gli uomini fossero innocenti, a chi
accorderei la mia grazia?.
Da qualche decennio
l'Islam o almeno una parte dell'Islam sta cercando di ritornare alle
proprie origini religiose. Per quanto io sappia, questo ritorno è
sommario, limitato, edulcorato. Non basta tagliare le mani ai ladri o
imporre i veli alle donne, per ritrovare il grande fuoco della
tradizione islamica. La tradizione è fatta di grandi libri: letti,
ripetuti, masticati, assaporati, fino a diventare coscienza
quotidiana anche in chi non suppone nemmeno che esistano. L'Europa ha
sempre avuto un ruolo paradossale: non solo ha studiato le voci, le
immagini e le forme mentali degli altri, ma le ha amate così
profondamente da farle riconoscere a chi le aveva trascurate e
dimenticate, così che esse tornavano vive nella memoria. Se
Alessandro Magno non avesse attraversato l' Oriente come una folgore,
adottando l'eredità persiana, forse non ci sarebbe mai stata quella
creazione straordinaria che fu l'impero partico e sasanide. E, in un
tempo più vicino a noi, i missionari salvarono l'eredità della
cosmologia e della vita azteche, minacciate di estinzione.
Non so se si possa
immaginare qualcosa di simile ai giorni nostri. Ma so che ogni difesa
autentica di una grande tradizione spirituale (difesa che è sempre
una metamorfosi e una reincarnazione) ha una risonanza senza confini
nello spazio e nel tempo. Ma è poi vero che il mondo islamico sia
incapace di insegnare qualcosa al viaggiatore occidentale? Non so
cosa vedano i turisti europei, a Mashhad, a Isfahan, al Cairo, a Fez,
a Damasco, nel cuore del Sahara algerino, o nelle antiche terre della
Regina di Saba. Soltanto moschee, arabeschi, ceramiche di Nishapur,
tappeti persiani, patii pieni di verde, palmizi e verdure attorno
alle acque; e dappertutto il nome di Allah la ilah illa Allah ,
scritto da tutte le mani e in tutte le calligrafie? Forse c'è
qualcosa d'altro da scorgere. Il dono, per esempio, della fede, della
devozione, della tenerezza verso Dio: l'ho conosciuto davanti alla
città santa di Mashhad, dove un bambino cieco, con una mano rigida
lungo il corpo e l'altra tesa verso l'alto, con gli occhi
innaturalmente fissi, cantava le lodi di Alì, il principe degli
sciiti sua sola guida, suo solo conforto, mentre un piccolo gruppo di
persiani ascoltava in silenzio la voce perfettamente ritmata, e il
viaggiatore occidentale credeva di essere giunto nel luogo che gli
rivelava il dolore del mondo, e la bellezza consacrata di questo
dolore. Il miracolo della povertà: la moschea nel cuore del Sahara,
che ricordava la prima moschea di Maometto pochi rami di palme contro
un muro di mattoni essiccati al sole. Il miracolo della morte nuda: i
cimiteri senza nomi di famiglia e di persona; nient'altro che cocci
aguzzi, pietre scheggiate, rinuncia a qualsiasi consolazione e
ricordo e trionfo sopra la morte. Il dono dell'amicizia, della
medioevale generosità verso il compagno. E persino l'ombra di quella
civiltà, l'oppressione della donna stringe il cuore al ricordo di
quegli occhi femminili pieni di dolcezza, di tremore, di umiliazione,
di lacrime lungamente taciute, che appaiono per un istante dietro il
velo.
C' è qualcosa che il
viaggiatore occidentale giustamente non sopporta: il fanatismo di
alcune tra le masse arabe e persiane. Questo fanatismo appartiene
solo in parte alla tradizione islamica: il nostro Medioevo più
splendido, il Medioevo delle cattedrali, delle Summe teologiche e di
Antelami e Dante, era molto più intollerante del mondo arabo.
Risvegliato da innumerevoli frustrazioni, delusioni, sconfitte,
speranze mal riposte, ottusità, sfruttamenti politici, forse questo
fanatismo potrà un giorno spegnersi improvvisamente come era nato.
L'Europa non ha fatto molto per mitigarlo. Ha sempre accettato, sia
pure con qualche ripugnanza, i dittatori del mondo medio-orientale:
queste orrende imitazioni di Benito Mussolini, generali sovietici,
Ciro il grande e demagoghi ispano-americani, mescolate con vecchi
principi tribali e turchi da opera buffa. Li ha accettati perché
parlavano un linguaggio moderno: socialismo, anticapitalismo, carri
armati, petrolio, industria pesante. Che perseguitassero la religione
non aveva molta importanza. Ma l'Europa non ha mai accettato qualcosa
di molto più delicato e complesso: un'anima che adorava il suo Dio
lontano e vicino. In questi giorni di odi verbali, dove la parola più
semplice viene fraintesa, debbo aggiungere una informazione che non
appartiene affatto a questo discorso: credo che gli Stati Uniti, e
con loro l'Europa, siano stati costretti a rispondere all'aggressione
di Saddam Hussein. Non c'era altra strada. Ma questa guerra finirà.
Allora tutti coloro per i quali il regno di Dio esiste, la bellezza
del mondo, il giardino persiano dove le palme si alternano ai filari
d'uva e le rose svelano il loro splendore carminio, il giardino che è
soltanto un segno dell'eterno Frutteto che abita mai appassito nei
nostri cuori, dovranno ripetere ciò che fecero molti secoli fa i
monaci occidentali, quando leggevano i libri dove era trascorso
lievemente il segno di Allah il misericordioso.
la Repubblica, 6 febbraio 1991
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