6.9.10

I mattoncini Lego, la storia, il progetto. (di Salvatore Lo Leggio)


Il 6 febbraio 2010, su “La Stampa” un articolo di Francesco Spini, sotto il titolo Lego fa il record di vendite e il sottotitolo «Mi diverto come mio papà», fa il punto sull’andamento delle vendite natalizie nel campo dei giocattoli. Nel leggerlo si fa più di una scoperta. La prima è quella che i giocattoli tradizionali, nel vivo della grande crisi, ottengono un imprevisto successo e vedono crescere il proprio mercato, non solo a scapito dei giocattoli robotizzati con luci mirabolanti e tantissimi movimenti, ma anche e soprattutto dei videogiochi. La spiegazione immediata, e di sicuro giusta, del fenomeno è che costano meno. E tuttavia all’autore dell’articolo sembra, giustamente, non bastare. Citando i successi commerciali dei celebri mattoncini Lego (nel 2009 14% in più in Europa centrale), tedeschi, e l’inatteso ritorno dei vecchi chiodini “Coloredo” della torinese Quercetti (+18% nel 2008, +14% nel 2009), Spini interroga i responsabili del marketing delle aziende sulle ragioni del fenomeno. Alla prima spiegazione sembrano aggiungersene altre due. Prima: i giochi più scelti nell’ultimo Natale hanno, in genere, un tasso di riutilizzazione maggiore. Seconda: essi sono spesso quelli dei genitori o, addirittura, dei nonni o le loro trasformazioni.
Un’altra sorpresa alla Fiera di Norimberga riguarda per esempio il Padiglione numero 3, dedicato ai giocattoli di legno: è pieno con un grandissimo interesse. Legno significa costruzioni all’antica, pupazzi (ricordate i Pinocchietti?), cucine giocattolo.
C’è anche un revival di bambole e bambolotti, ma non le costose Barbie o Bratz, quanto i piccoli pupazzetti collezionabili, cuccioli e simili.
Sono elementi che fanno pensare. Questa reazione alla crisi, seppure in un settore limitatissimo dei consumi, mi sembra una positiva reazione a due aspetti del mondo che ha prodotto la crisi. Innanzitutto c’è un primo, salutare rifiuto del principio dell’“usa e getta”, che spesso diviene “getta senza neppure usare". In secondo luogo ci si allontana da un nuovo che sistematicamente e allegramente spezza i legami tra le generazioni e che produce un vivere tutto concentrato sul momento, senza storia e senza progetto (senza progetto perché senza storia). Una politica e una cultura lungimiranti userebbero questi elementi per favorire un’uscita dalla crisi che preveda per l'avvenire un vivere più sobrio e società più solidali e integrate. Ho molti dubbi che ciò si verifichi. Accade talora che politica e cultura non sappiano neppure intravedere, per cecità e pigrizia, le cose buone e nuove che spontaneamente si fanno strada nella società .

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