10.9.10

Morte del libro e crisi di civiltà (di Serge Latouche)

Il 29 gennaio 2010 “l’Unità” ha pubblicato uno stralcio dell’intervento conclusivo di Serge Latouche al seminario di perfezionamento che la “Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri” ha tenuto alla Fondazione Cini. Lo ripropongo qui. Il tema del seminario era Crisi del libro crisi della civiltà. Latouche, il teorico della “decrescita serena”, cui ha dedicato un fortunato libretto, non è l’ecoprofeta apocalittico che qualcuno immagina, ma è portatore di dubbi radicali anche in merito alla specifica questione del libro. Non sembrano interessargli molto le conseguenze della sostituzione del libro cartaceo col libro digitale, oggi è d’attualità per le sue conseguenze economiche, ma i pericoli che corre il libro come strumento di trasmissione del pensiero nella società di mercato generalizzato, ove, per dirla con Hannah Arendt, “la futilità della vita minaccia la fragilità delle opere”. (S.L.L.)

Nella seconda metà d'ottobre nel 2009, Amazon ha lanciato in Europa, due anni dopo gli Stati Uniti, il suo e-book Kindle. Questo lettore (reader/ liseuse), un dispositivo elettronico, molto sottile ha uno schermo in bianco e nero di 15 centimetri e permette di accedere a 300.000 libri e molti giornali. Questo prodotto molto sofisticato, non è il primo dei "gadget" che permette il passaggio del libro nel mondo digitale. C'era già il reader ("lettore") di Sony, per non parlare del possibile accesso attraverso uno smartphone o netbook, o addirittura da internet, scaricando semplicemente i documenti su un computer classico. (...) Se Kindle ha riacceso l'agitazione dei professionisti dell'editoria, è perché consente l'accesso gratuito e wireless alla biblioteca digitale di Amazon, fornendo al contempo un supporto piacevole per la lettura. È questo il segno dell'agonia precedendo la morte annunciata del libro, nella forma come lo conosciamo noi dai tempi di Gutenberg?
Ci sono due modi, credo per affrontare il problema, o più esattamente, il problema presenta due aspetti, due livelli molto contrastanti. Il primo è quello dell'attualità e delle modifiche provocate dall'evoluzione tecno-scientifica. Il secondo è quello di una profonda riflessione sul rapporto del pensiero e la sua trasmissione. Se il primo livello, occupa oggi il centro della scena, è importante non dimenticare il secondo perché in ultima analisi, è quello che permette di cogliere le vere sfide (poste in gioco) del cambiamento.
Per concludere si potrebbe accontentarsi di commentare la famosa frase di Nietzsche "Il deserto cresce... Maledetto sia chi protegge il deserto", e associarci i commenti di Hannah Arendt ai commenti di Heidegger. "Il deserto è il mondo nel quale ci muoviamo", ha scritto lei nel 1955. Ha aggiunto: "La cosa peggiore è quella di lasciare che il deserto invada le oasi". "Il totalitarismo è una specie di tempesta di sabbia generalizzata e permanente che non ammette l'esistenza delle oasi. Ma la società di massa, già, non n'è favorevole". La società di mercato generalizzato che espropria lo spazio pubblico, colonizzandolo con le merci, è una forma di totalitarismo soft. Nella società dello spettacolo, "La futilità della vita minaccia la fragilità delle opere". "Le opere, dice ancora la Arendt, hanno la funzione di tenere il mondo, ricordando l'esistenza degli azioni e delle parole degli uomini che, per definizione, sono volatili e non si curano neanche di se stessi". Sono i rifugi dell'arte, del pensiero e dell'amore dalle quali si percepisce che le tempeste di sabbia hanno fretta a fagocitarli. La cosa inquietante dell'universo tecnico contemporaneo è che da una parte favorisce l'effimero, il frivolo e finalmente quello che Castoriadis chiamava: "l'aumento dell'insignificanza" ("la montée de l'insignifiance ") e, che dall'altra parte provoca un certo entusiasmo, che ha la sua origine nel desiderio d'infedeltà alla terra. La fuga nel cosmo e nella transumanità, ecco un segno dell'estensione del deserto. Bisogna inventare dei percorsi di resistenza al deserto e alla desolazione. Questo è il luogo stesso del pensiero. "Un libro è un oggetto che viene da lontano. Testimonia ancora un mondo non del tutto perduto".
La decrescita è una lotta contro il deserto e per l'amore del mondo. Solo la società della decrescita può salvare il libro o almeno i valori dei quali il libro è portatore. La crescita negativa - ecofascista o ecototalitarista - sarà il trionfo del deserto e la morte della vita com'è descritto nel famoso libro di Ray Bradbury Farenheit 451. E forse anche senza internet dopo il crollo dei macrosistemi tecnici.
Il libro, nato con la modernità, e che, attraverso la Riforma e l'umanismo del Rinascimento, ha fortemente contributo a farla nascere, potrebbe scomparire con il trionfo della ipermodernità o la tardamodernità attuale. Quelli, che sono nati prima dell'avvento delle tecnologie digitali, fanno fatica ad adattarsi al nuovo stato delle cose e per loro è ancora più difficile accettarlo e concepire una civiltà senza libri. Le nuove generazioni comunque ci si trovano molto bene. Una società della decrescita genererà una nuova cultura che forse sarà digitale, forse no. La migliore possibilità per la sopravvivenza del libro si avrà solo con la fine delle società della crescita, ovvero della civiltà occidentale, sperando che si verifichi prima che le nuove generazioni abbiano perso l'abitudine alla lettura come noi l'abbiamo conosciuto. Questo è molto probabile.

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