23.9.10

Dieci anni del Grande Fratello (Giorgio Scianna)

Sui dieci anni del Grande Fratello ho letto un ragionato e ragionevole bilancio, di Giorgio Scianna, nel sito di "Linus". Ne riporto qui un ampio stralcio, insieme all'illustrazione che lo correda di Ale+Ale. (S.L.L.)
Il 14 settembre del 2000 veniva lanciata in Italia la prima trasmissione del GF. Chissenefrega? Purtroppo no.
Intanto 1) Se fate una ricerca su Google il romanzo di un certo Orwell, che un po’ c’entra, faticate a trovarlo in mezzo a un oceano di byte dedicati al format televisivo arrivato alla decima versione. 2) Il numero di persone che in dieci anni si sono messe in fila per partecipare ai provini del GF equivalgono, più o meno, al numero degli abitanti di Parma. 3) Più di sette milioni di persone hanno guardato l’ultima finale. 4) Non c’è discoteca, balera o bagno in spiaggia che non abbia ospitato almeno un gieffino. 5) Per numero di Paesi colpiti (sì colpiti) – dal Big Brother australiano al Gran Hermano argentino, all’Africa, a Israele – il GF rappresenta uno dei trionfi della globalizzazione. 6) Tra un mese siamo da capo con il GF 11.
Quando è nato a me sembrava divertente. Confermava qualcosa che gli psicologi sapevano da molto tempo: un gruppo di persone isolate, costrette a interagire, mettono in piedi storie e relazioni al di là della loro volontà. Certo voyeurismo, certo riflettori in continuo delle telecamere, certo storie inquinate dagli interventi degli autori, ma dieci persone in una stanza non possono che interagire e diventare sceneggiatura. Il mondo aziendale lo sa bene. Quelli che si chiamano assessment, le sedute che servono per valutare i candidati da assumere o per decidere chi può fare carriera, non funzionano in modo molto diverso. Lì non ci sono le telecamere, ma i valutatori coi bloc-notes e il valutato lo sa che ci sono, che dovrebbe dire alcune c .ose e altre no, che dovrebbe sembrare paziente e dimostrare la piena attitudine all’ascolto, ma dopo un’ora che si tiene, alla fine non ce la fa più e se deve mandare al diavolo qualcuno finisce per farlo lo stesso, cambia solo le parole che usa, gli insulti che gli stanno uscendo, perché si ricorda dei blocnotes all’ultimo istante. Fare televisione così, storie nate dal nulla, dal caso, dal basso, poteva essere un esperimento interessante. Il problema è stato che poi questa gente è uscita dalla casa e ha invaso ogni spazio occupabile nelle trasmissioni: dai programmi di cucina al mattino alle comparsate notturne sulle reti locali, e lo ha fatto per dieci anni, quasi sempre senza talento alcuno. Così tra Grande Fratello, cloni del Grande Fratello, parodie del Grande Fratello, critiche al Grande Fratello si è finito per coprire buona parte della televisione generalista per dieci anni.È un posto reale quello del GF, un luogo che è cambiato e ha cambiato l’idea stessa di abitazione. Dagli arredi spartani del 2000 alla versione ecologica del 2009 con la sua bioarchitettura, il rispetto per l’ambiente, pannelli solari e biopietre dappertutto. Quanto all’ultima versione, non si è badato a spese, esibendo una ricerca di stile preciso. Sarà per quello che ci sono decine di blog su internet in cui i bloggisti si interrogano sulla marca della lampada a forma di tulipano inquadrata in ogni momento. Il GF genera gusto. È l’unica casa che sette milioni di persone conoscono, ogni stanza, ogni elemento di arredo. Manco la Casa Bianca! C’è chi si vanta di costruire piscine simili a quelle interrate negli studi di produzione, è una pubblicità che conta più di mille cartelloni. Il GF condiziona il gusto.
Il GF condiziona il linguaggio. Ho sentito l’altro giorno tre ragazzi scherzare tra loro sull’autobus, e una quindicenne ha redarguito l’amico così: “piantala o ti mando in nomination”. Ma ovviamente con GF c’è in ballo molto di più, se il sociologo Zygmunt Bauman ne ha parlato ed è andato a scomodare persino l’idea di morte.
Bauman ha definito questa trasmissione: un’inquietante rappresentazione televisiva delle logiche di funzionamento del mondo d’oggi. Mentre nel romanzo di Orwell (1984), il Grande Fratello era una presenza intrusiva, dalla quale era impossibile liberarsi, viceversa, oggi, in questa forma di gioco televisivo il rischio maggiore diviene quello di essere esclusi, essere fatti fuori, dalla convergente scelta dei propri compagni e del pubblico. L’esperienza di esclusione, esemplificata dal format televisivo – definito da Bauman “vera e propria esperienza di morte figurata” – costituisce l’occasione (una delle tante) per avvertire la precarietà della vita individuale.
Per le persone comuni il terrore è quello di non comparire, perché non comparire vuol dire non esistere. E questo diventa intollerabile: vada che condizionino la mia idea di lampada o di tavolino, ma che il rapporto con l’esistenza passi da lì non può che fare incazzare. Del resto se c’è tutta Parma in coda, non può essere solo per un abat-jour. Deve avere ragione Bauman. Quanto all’altra morte, quella vera, si è già registrata in un reality gemello. Il tabù giornalistico, televisivo della morte in diretta è stato infranto senza troppo scandalo. Saad Khan, un concorrente di un reality show pakistano, è annegato mentre si sottoponeva a una delle prove di resistenza fisica previste dal programma. Khan stava attraversando un laghetto a nuoto con un peso di 7 chili sulle spalle quando è scomparso sotto le acque: la troupe ha cercato di salvarlo senza riuscirci e il suo corpo è stato recuperato dai sommozzatori.
Negli ultimi anni tutto è diventato reality. Musica. Ballo. Soldi. Lavoro. È un format adattabile come plastilina. C’è la crisi? Negli Stati Uniti si è prodotto Someone’s gotta go. Una trasmissione con le nomination, le scelte, le votazioni e tutto il resto. Solo che è ambientata nelle piccole aziende in crisi, e il giochino è stato inventato per far decidere ai colleghi quali lavoratori lasciare a casa, licenziare.

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