16.9.10

Un ambiguo revival (S.L.L.)


Da un giornalaio del mio natìo borgo selvaggio, Campobello di Licata, ho trovato esposti una ventina di libri di tradizioni popolari e di varia etnografia sul paese e su altri vicini: lingua, proverbi, usi matrimoniali, filastrocche, ninne nanne, briganti e ladruncoli. Ho notato poi, in questo mese di soggiorno, che in occasione della tradizionale festa della Madonna, della imitata “notte bianca” e di una ridicola “notte rosa”, si sono esibiti due o tre nuovi gruppi musicali che fanno folk locale. Il lessico caratteristico del vernacolo ormai lo conoscono solo i molto vecchi o gli emigrati da lungo tempo e perciò i testi sono inevitabilmente un po’ aggiustati; ma, nonostante i limiti di filologia, è evidente un vero e proprio revival che sembra contrastare, in piccola parte, l’omologazione culturale e musicale provocata dallo strapotere universale delle majors.
Quanto avviene ricorda gli ultimi anni 60 e i 70. Anche allora c’era una corsa a riappropriarsi della tradizione, nascevano gruppi musicali e teatrali, trasmissioni radiofoniche, festival incentrati sul folklore e sul dialetto. Ma c’è una differenza di fondo nelle motivazioni. Quella ricerca era orientata dalle sollecitazioni di Gramsci, e poi di De Martino, Bosio, Pasolini, del Canzoniere italiano, di Dario Fo, di Mao perfino. Si cercava nei canti tradizionali e nello studio del mondo popolare, specie contadino, l’autonomia delle classi subalterne, si voleva rintracciare non solo un “altro suono”, ma anche un’altra concezione del mondo, alternativa al sistema di valori che dominava la civiltà borghese, e di essa si esaltavano gli elementi di resistenza e di ribellione allo sfruttamento e all’oppressione.
Oggi, invece, sembra che tutto sia proteso alla valorizzazione di una identità territoriale, se non etnica, senza nessuna distinzione di classe. Questi ragazzi parlano di Rosa Balistreri, che è un po’ il loro nume tutelare, e, poiché era della zona, ne recuperano religiosamente il repertorio, ma non ricordano mai che era comunista. Succede che nel presentare i testi parlino anche di Peppino Impastato, ma nelle loro parole egli appare come un giovane siciliano coraggioso che combatteva contro la mafia per la legalità, come un amico dei carabinieri non come un militante rivoluzionario. 
Durerà così ancora per un po’. Tocca a noi che siamo rimasti scontare, anche sopportando queste falsificazioni ed omissioni, tutti gli errori (e anche i crimini) del comunismo novecentesco.

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