18.9.14

Enzo Mazzi, il prete scomodo che spaventò la Chiesa (Giovanni Gozzini)

Per la morte di Enzo Mazzi, parroco contestatore dell'Isolotto di Firenze al tempo della contestazione, il necrologio di Giovanni Gozzini, anche lui figura del dissenso cattolico, famoso per la umanissima (e violatissima) legge penitenziaria di cui fu primo firmatario negli anni 70, quando era deputato indipendente di sinistra eletto nel Pci. C'è qualche accento ottimistico, francamente eccessivo, sull'Italia di oggi, ma nella ricostruzione della sessantottina ribellione nel cattolicesimo italiano e dei suoi effetti non solo immediati mi pare affidabile. (S.L.L.)
 Don Enzo Mazzi, estromesso dalla parrocchia dell'Isolotto
celebra la Messa in piazza con molti dei  parrocchiani (1969)
Enzo Mazzi a Firenze vuol dire Isolotto. Cioè un quartiere povero della città, storicamente legato ai renaioli che tiravano su la sabbia (la “rena” in toscano) dall’Arno: un mondo rimasto compatto di botteghe e mestieri. A mandare don Mazzi in quel quartiere era stato il cardinal Dalla Costa, lo stesso che nel 1938 aveva chiuso porte e finestre dell’arcivescovado, in piazza del Duomo, quando Hitler aveva fatto visita a Firenze.
Nel 1966 quello stesso fiume che dava da mangiare, sommerse con le sue acque limacciose l’Isolotto e tutta la città. Don Mazzi era il parroco e insieme alla Casa del Popolo, ai democristiani e ai comunisti di allora, si dette da fare per aiutare la gente rimasta senza casa e senza lavoro. Niente di eccezionale: il pastore stava con le sue pecore, loro lo riconoscevano e lui le ascoltava.
Nell’Italia di quegli anni l’Isolotto di don Mazzi incarnava un’esperienza di comunità di base (allora si chiamavano così) che cercava di praticare il Vangelo senza preclusioni politiche e badando al sodo: solidarietà, accoglienza, povertà condivisa. Dormire in cantina per far posto in canonica a una famiglia di sfrattati. La messa si diceva in italiano e non più in latino, come aveva indicato il Concilio Vaticano II. Il prete smise di mostrare le spalle ai fedeli e si girò per sempre verso di loro: quello che faceva, la liturgia, era affare di tutti, non di un solo sacerdote.
Nel Sessantotto questo modo di fare Chiesa si colorò un po’ più di politica. Contro la guerra in Vietnam, contro la Democrazia Cristiana che non aveva ricandidato La Pira, il sindaco che della pace aveva fatto la sua bandiera. Il successore di Dalla Costa, Florit, ebbe paura di questo andazzo. Una delle gocce che fece traboccare il vaso fu una lettera di solidarietà inviata dall’Isolotto agli studenti di Parma che avevano occupato la cattedrale in segno di protesta contro la Curia che voleva costruirne una nuova, più grande e più ricca. Non ce n’era bisogno, dicevano: Gesù l’unica volta che si era arrabbiato davvero era contro i mercanti che occupavano il tempio. Ricchezza e Chiesa non devono andare d’accordo.
Florit sospese don Mazzi e mandò un nuovo parroco all’Isolotto. Ma alla sua prima messa si presentarono in venti. Tutti gli altri andarono in piazza, dove don Mazzi continuò a dire messa per tutta la comunità. Da allora in poi quella separazione fisica continuò a rappresentare un diverso cammino. La comunità di base dell’Isolotto (come tante altre in Italia) continuò a praticare un Vangelo che significava stare in maniera intransigente dalla parte degli ultimi. Il Vescovo, la gerarchia seguì una strada diversa, più cauta, ma non rinunciò ad esercitare il proprio potere: nel 1974 don Mazzi venne sospeso a divinis. Non per questo il parroco «ufficioso» smise di essere il pastore delle sue pecore: fino all’ultimo è stato punto di riferimento non solo per le prese di posizioni pubbliche che facevano rumore sui giornali (come quella a favore di papà Englaro) ma soprattutto per un’azione concreta, silenziosa e quotidiana di aiuto a chi aveva bisogno.
Potrà sembrare strano ma se oggi la maggioranza dei cattolici italiani (il 53% secondo il sondaggio di Mannheimer reso pubblico domenica scorsa) non rivuole la Democrazia cristiana è anche per merito (o per colpa) di don Mazzi. Gli ultimi due pontificati hanno lavorato molto per piallare le comunità di base, per togliere legittimazione e visibilità a un cattolicesimo eterodosso.
Ma come tante altre cose del Sessantotto (si pensi a Steve Jobs che va in India prima di mettersi a inventare il computer per tutti) quel cattolicesimo non ha smesso di lavorare in profondità e di cambiare la testa degli italiani.
Si può essere molto religiosi senza per forza essere democristiani e senza per forza pensarla politicamente alla stessa maniera.
Si può cercare di vivere il Vangelo con coerenza senza per forza obbedire alle autorità ecclesiali.
Si può, si deve, pensare con la propria testa.
Ciò che nel 1968 sembrava eresia ora è senso comune.
Troppo spesso i politici chiusi nelle loro stanze non si accorgono di come è cambiata l’Italia. E ragionano (dato che sono in perenne carestia di idee nuove) su come ricostituire una presenza cattolica nella vita politica. Non sanno che decine di migliaia di cattolici prestano il loro impegno nel volontariato (come don Mazzi) preferendolo a una politica che (almeno per come viene fatta “professionalmente”, si fa per dire, oggi in Italia) non li interessa e non li appassiona. Quello che li appassionava (e li appassiona) di don Mazzi era che non faceva politica per sé, per fare carriera o per arricchirsi. O per difendere il posto di lavoro, come molti politici italiani attuali. Ma semplicemente per stare dalla parte degli ultimi. Questo dice il Vangelo. Altro che nuovo partito dei cattolici.

l’Unità, 24 ottobre 2011


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