10.9.14

Militarkolchoz. La collettivizzazione nelle campagne sovietiche (Rita di Leo)

Nato da un'occasione contingente (una discussione sulla Polonia di Jaruzelski) l'articolo espone la tesi di una protratta militarizzazione dell'agricoltura in Unione Sovietica, alla lunga costosa anche economicamente. Ho l'impressione che lo schema rischi di oscurare i mutamenti nel tempo, le differenze tra le varie regioni e le dinamiche interne della società e dell'economia kolchoziana. Per gli appassionati della materia non è male leggere l'articolo tenendo presenti gli studi di Moshe Lewin (soprattutto la prima parte di The making of Soviet system,1985, cioè “La formazione del sistema sovietico”, impropriamente titolato Storia sociale dello stalinismo nell'edizione italiana Einaudi del 1988). (S.L.L.)
La raccolta del grano in un kolchoz (fattoria collettiva) in Ucraina (1947) 
Nello scorso giugno, a Birmingham, polemizzai per una intera serata con il preside della Facoltà di Economia dell'università di Varsavia, che era, come me, ospite del prestigioso centro inglese di studi sull'Est europeo. Il preside, iscritto al partito comunista dal '46, e a Solidarnosc dall'autunno '80, affermava che l'unica via rimasta al suo paese per uscire dall'impasse era la militarizzazione dell'industria, insieme alla temporanea emarginazione del partito-Stato. Alle mie obiezioni, mi invitò a riflettere sul precedente storico costituito dalle vicende dell'agricoltura sovietica negli anni '30.
Dopo il 13 dicembre l'ho fatto, con 1'aiuto di Robert F. Miller, autore di One Hundred Thousand Tractors. The Mts and the developmentof controls in Soviet Agricolture (Harvard Univ. Press, pagg. ,425, dollari 21.75): vi sono analizzati il ruolo politico e le funzioni economiche delle «Stazioni macchine e trattori», vale a dire le officine-autorimesse aperte nei distretti rurali sovietici all'epoca della collettivizzazione. L'autore vede nella storia delle Mts una lunga guerra di conquista, ad opera del partito, delle campagne. Il periodo più difficile fu quello degli anni 1929-39, che Bucharin definì il periodo dello sfruttamento militare-feudale della manodopera contadina. Non è su quest'ultima, però, che si appunta l'attenzione di Miller, bensì sul partito e i suoi obiettivi.

Gli avamposti del potere
II primo e principale obiettivo che il partito si riprometteva con le Mts, era l'occupazione effettiva e duratura del territorio conquistato. In realtà il kolchoz, appena costituito, avrebbe dovuto essere tutelato dai funzionari del partito stesso, dirigenti tecnici e amministrativi. Ma il partito disponeva di poche decine di migliaia di iscritti nelle zone rurali, rispetto ai 130 milioni di residenti, e la percentuale di tecnici agrari era del tutto irrisoria. Così dopo l'espulsione, manu militari, dei «nemici di classe» (i contadini ricchi e il pope) il villaggio e il kolchoz rimasero nelle mani inesperte dei contadini poveri, elevati alle cariche direttive della cooperativa e del soviet. Ma quei contadini nulla erano in grado di fare di fronte alla resistenza passiva opposta dalla maggioranza, che era tenacemente ostile alla collettivizzazione. Le Mts apparvero allora l'unica istituzione in grado di affrontare l'ostilità e la passività della gente.
II loro compito principale era l'assistenza tecnica: in cambio dei servizi ottenuti, i kolchozy erano contrattualmente obbligati a consegnare una parte del raccolto, a pagare in natura. In questo modo si assicurava alle città una quota consistente del fabbisogno alimentare.
Altrettanto importante era il compito politico delle Mts. Queste officine-autorimesse erano infatti dei veri e propri avamposti del potere sovietico: le loro «guarnigioni» dovevano fare accettare al contadino il lavoro nella cooperativa, e fargli inoltre assimilare quella che si definiva la costruzione staliniana del socialismo. Le prime guarnigioni furono costituite da operai di città, iscritti al partito, socialmente attivi, con un livello di istruzione superiore a quello dei contadini, ma certo insufficiente al compito che veniva loro affidato. Gli ex saldatori, gli ex fabbri potevano diventare trattoristi, ma non agronomi; eppure l'appartenenza alle Mts conferiva loro la potestà di dirigere i lavori agricoli. Tanta era la paura del sabotaggio contadino, che l'inesperienza veniva preferita a una esperienza ostile. Risultato: dopo qualche anno dalla creazione delle cooperative, delle fattorie statali e delle Mts, il bilancio della penetrazione sovietica nelle campagne era ancora insoddisfacente.
Si era nel 1932. Vennero allora istituite, all'interno delle Mts, le «politotdely», sezioni politiche che dipendevano direttamente da Mosca. Le «politotdely», definite «l'occhio del partito», dovevano accelerare il processo di assimilazione dei villaggi, procedendo a rigorose verifiche della fedeltà al partito e alla «linea generale» dei membri delle Mts e delle cellule rurali. I funzionari delle «politotdely», anch'essi cittadini, erano in gran parte intellettuali ed ebrei: persone dunque completamente estranee all'ambiente e perciò in grado di sferrare senza esitazioni l'ennesima offensiva anticontadina.
Quando, nel '34, le sezioni politiche furono liquidate, le relazioni kolchoz-Mts-potere sovietico erano ormai consolidate. Ormai tutto il territorio agricolo era sottoposto all'assistenza e al controllo delle Mts, e nei villaggi i contadini sembravano aver accettato il loro ruolo di produttori e cittadini di seconda classe. Per affrancarsi non c'era altra via che la fuga in città e l'ingresso in fabbrica; per i meglio dotati, l'istruzione superiore. Per chi invece rimaneva in campagna, il massimo delle aspirazioni era quello di diventare trattorista delle Mts, venire accettato nel partito e puntare così a qualche carica direttiva locale. La sostituzione dei quadri dirigenti urbani e intellettuali con elementi locali è stato un processo lento, e per giunta interrotto dalla guerra e dagli anni della ricostruzione. Soltanto alla fine degli anni '50 si è cominciato a poter contare su una intellighenzia tecnica rurale, disposta ad integrarsi nel villaggio.
Fu solo allora che Kruscev decise di chiudere le «Stazioni macchine e trattori», rendendo finalmente pubblico il peso economico che esse rappresentavano per il paese. I contadini cominciarono a ricevere un salario mensile in denaro, e le cooperative conquistarono l'autonomia nell'uso dei mezzi meccanici, nonché un contratto regolare con lo Stato per la vendita dei prodotti a prezzi meno jugulatori. La militarizzazione dell'economia agricola era così finita, ma il costo sociale ed economico dell'operazione doveva, col tempo, risultare elevatissimo. I guasti causati all'attività produttiva dei contadini erano stati tali, che nel corso di quasi vent'anni Breznev non è ancora riuscito a porvi rimedio. Dal marzo del '65 i contadini sovietici fruiscono di una politica agraria favorevole, che avrebbe dovuto portare a tutto il paese abbondanza e miglioramento dei consumi alimentari; invece continuano ad alternarsi, come nel passato, gli anni di buon raccolto a quelli in cui si aggrava la dipendenza dell'estero.
L'unico risultato consolidato è la pacificazione sociale delle campagne....


“la Repubblica”, 19 febbraio 1982

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