14.9.14

Il Montale di Luperini (Anna Mattei)

Il dandismo umanistico di Montale, il suo snobismo eccentrico e spaesato facevano dire a Longhi che con lui «siamo sempre all'ombra di un albergo di lusso». In realtà la parabola di Montale è quella di un «poeta niente affatto fuori della storia e tutt'altro che privo di storia». In Storia di Montale (Laterza 1986) Romano Luperini percorre le tappe di un percorso poetico emblematico, radicato nel vissuto individuale oltre che nella cultura e nella storia del Novecento. Il libro è una guida all'opera in versi sostenuta da elementi storici e biografici, ma anche una originale biografia ricavata dall'analisi delle raccolte poetiche nell'ordine della successione cronologica.
Ossi di Seppia, Le occasioni, La bufera e altro, Satura: attraversare l'opera di Montale porta a rileggere il Novecento filtrato dalla coscienza di un intellettuale che, alla ricerca di una identità, ne segna i passaggi significativi, registrandoli nella costruzione poetica. Dall'ambiente ligure di Monterosso e Genova alla Torino di Gobetti, dalla Firenze di “Solaria” e “Letteratura” alla Milano industriale del “Corriere della sera”, situazioni esistenziali, suggestioni culturali, snodi storici significativi si intersecano nell'opera di Montale imprimendosi nei temi, nello stile, nelle forme, secondo una linea di progressiva riduzione tonale, che scivola sempre più verso la prosa, segnando la crisi della tradizione poetica simbolista e tardosimbolista.
Nella ricostruzione di Luperini il cammino poetico di Montale è seguito nel faticoso tentativo di armonizzare l'io individuale con il mondo della natura e degli uomini: un cammino dall'alto al basso, dal sublime al «comico», guidato prima dalle figure di Clizia, donna angelo, poi di Volpe, istinto a terra, quindi dell'anguilla, infine dalla tarma e da Mosca, insetti minimi.
Gli Ossi di seppia, pubblicati a Torino da Gobetti nel 1925, raccolgono i temi di una giovinezza che cerca di riscattare un'avvertita inettitudine alla vita pratica attraverso la poesia.
Già negli Ossi di seppia, afferma Luperini, è evidente lo scontro tra le due polarità dell'inno e dell'elegia, tra sacralità poetica e armonia con il mondo, da un lato, esilio e rinuncia alla parola dall'altro. Con Le occasioni, tra gli anni Trenta e Quaranta, siamo nel periodo successivo al licenziamento dal Gabinetto Viesseux per il mancato allineamento col regime. La frattura tra soggetto e oggetto si risolve a favore del secondo: recupero di forme tradizionali, innalzamento lessicale e stilistico, giustapposizione di «cose», che si affiancano senza nessi lungo una linea paratattica, secondo i principi poetici del classicismo simbolista di Eliot.
Il momento fiorentino è quello più aperto alla letteratura europea, in particolare a Valery e a Eliot: l'unica alternativa alla incoerenza e alla discontinuità del reale, in tempi in cui la «repubblica delle lettere» è minacciata sembra essere nel richiamo della stilnovistica Clizia ad un nuovo e solitario umanesimo. Alla seconda stagione poetica di Montale Luperini attribuisce un significato diverso rispetto a quello proposto da Contini, che, nelle Occasioni sottolinea la solidità classica della forma e la positività tematica opponendole all'«annullamento panico» e al frammentismo degli Ossi di seppia.
Per Luperini i temi dell'assenza, dell'attesa, della passività, nonostante le precarie certezze offerte dalla cultura (significativo è Notizie dall'Amiata a conclusione delle Occasioni) traducono un umanesimo declinante, l'inevitabile straniamento del soggetto dalla storia che lo assedia.
Con La bufera e altro (1940-54) le interrelazioni tra vissuto e storia piegano forme e temi poetici a esprimere l'angoscia e la speranza del dopoguerra contro le vane chiusure dell'ermetismo e contro l'ottimismo neorealista. Potenzialità figurale, rafforzamento realistico e rinnovamento lessicale oppongono dantescamente dannazione e salvezza accrescendo nell'urto il tasso di prosasticità. Nell'unico tortuoso periodo dell'Anguilla si legge l'incerto cammino della poesia, che tenta di recuperare uno spazio vitale in un mondo basso destituito di senso e valore.
Con Satura, che raccoglie testi degli anni Sessanta, fino agli ultimi Diari, sembra chiudersi il cerchio di un itinerario poetico, contrassegnato fin dall'inizio dalla ricerca di una identità poetica, risolta di volta in volta con il dubbio, quindi con l'utopia della cultura e l'isolamento elitario dello snob, infine con la negazione e la cancellazione: «La mia musa ha lasciato da tempo un ripostiglio/ di sartoria teatrale; ed era d'alto bordo/ chi di lei si vestiva. Un giorno fu riempita/ di me e ne andò fiera....»


“il manifesto”, ritaglio senza data, probabilmente 1986

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