12.2.17

Arricchitevi! Effervescenze cinesi (Romeo Orlandi)

Sede della Tencent Holdings Limited, colosso cinese del divertimento e tempo libero 
I miliardari cinesi hanno cominciato da piccoli. Jack Ma con Alibaba è il caso più famoso. Pochi anni sono passati da quando apprendeva l’inglese dai turisti stranieri a Hangzhou fino a divenire il moghul degli acquisti 
on line. E a incapricciarsi del Milan. Durante il single day in Cina avvengono più acquisti on line al mondo e Alibaba ne intercetta la maggior parte. L’11/11 – una data ormai proverbiale – le sue piattaforme dello shopping Taobao e Tmall hanno registrato transazioni per 14,3 miliardi di dollari in 24 ore. In quel giorno i single si gratificano in una specie di rivincita sul giorno di San Valentino, l’altra immensa occasione di acquisto.

La scossa delle startup nella fabbrica del mondo
L’azienda Xiaomi è stata fondata a Pechino nel 2010 e quattro anni dopo era già il terzo produttore al mondo di cellulari telefonici. Ha elaborato lo stile della Apple, modificandolo in pochi dettagli. Corteggia i clienti con un design asciutto, ma soprattutto con un’aggressiva politica di prezzi. Con Xiaomi, gli smartphone sono diventati un prodotto di massa, senza perdere il richiamo della moda.
Tencent è nata nel 1998 con un fondo di venture capital. Oggi è tra i più grandi produttori mondiali di servizi per e-commerce, portali web, giochi online e social network. Baidu è il secondo motore di ricerca più usato al mondo, dopo Google: un risultato eccellente se paragonato ai primi passi in un ufficio in una stanza d’albergo.
Oggi i futuri tycoon hanno degli ottimi esempi da seguire. Ci sono nuove startup che forniscono prestiti personalizzati, con criteri di trasparenza e immediatezza. Sono un’alternativa legale per chi non percorre i canali opachi dell’intermediazione bancaria, dello shadow banking e dell’usura. È il caso di Dianrong, fintech che aiuta le giovani aziende, attraverso il sistema peer-to-peer. Nell’ottobre 2015 ha erogato 19 milioni di dollari, quadruplicando il valore dello stesso mese nell’anno precedente.
Altre giovani aziende sono affollate di richieste, perché insegnano ai cinesi urbanizzati le buone maniere desunte dalle riviste di moda internazionale. Si rivolgono ai tuhao, traducibile con “i ricchi non colti della Cina”. Offrono lezioni dirette oppure on line su come vestirsi, comportarsi, intrattenere gli ospiti, usare le posate. Un’imponente battaglia commerciale è poi in atto tra Uber – che sembra al momento arretrare – e Didi Kuiadi. L’azienda cinese, fondata nel 2012 e poi rinforzatasi con fusioni, ha raccolto più di 4 miliardi di dollari nel 2015, sorretta da giganti come Alibaba, Tencent e il fondo sovrano China Investment Corporation.
Per Tujia la sfida è invece con Airbnb. La startup cinese ha occupato un mercato finora inesplorato. Con successo sta cercando di rendere disponibili le migliaia di appartamenti vuoti che costellano la Cina. Trova un alloggio per i turisti low cost, una soluzione acuta che ripara i danni dell’insensata speculazione edilizia. Tujia ha un elenco di oltre 300 mila disponibilità e lo scorso agosto ha riscosso 300 milioni di dollari con un lancio di venture capital.
Ci sono infine centinaia di startup che forniscono servizi di ogni tipo, dal cibo a domicilio alle riparazioni per l’automobile, dalla lavanderia alle ripetizioni scolastiche. Pur nella diversità delle loro dimensioni, queste aziende hanno dei tratti comuni. Sono nate in Cina da imprenditori cinesi e si rivolgono – almeno inizialmente – ai consumatori cinesi. Ne comprendono le aspirazioni e danno loro forma con gli strumenti più sofisticati. Hanno preso a prestito dalla Silicon Valley sia la tecnologia che l’abilità a trovare finanziamenti. Emerge dunque dalla Cina un quadro dinamico, un movimento ancora incompreso dall’occidente e inedito entro la Grande Muraglia. A questa Cina Xi Jinping sta affidando un ruolo importante in una missione epocale: pilotare il Paese verso un futuro di qualità e di prosperità. Lo ha battezzato the Chinese dream. Ancora una volta, la dirigenza si rivolge agli imprenditori per dare ossigeno a una crescita rallentata. Il Pil è aumentato del 6,9% lo scorso anno. Suscita invidia dovunque, ma è il peggior risultato della Cina negli ultimi 25 anni. Serve una scossa e le startup la stanno già fornendo.
La preoccupazione di Pechino è come mantenere il controllo di questa effervescenza. La linea è stata tracciata lo scorso 19 aprile, quando il Segretario Generale ha espresso il suo punto di vista su Internet e sull’Information Technology. Xi si rivolto ai più di 770 milioni di utenti, agli imprenditori cinesi, alle aziende straniere. Il suo pensiero è stato sfaccettato: ha dato impulso alle nuove tecnologie, ma richiamando l’unità di intenti della nazione cinese. La creatività è necessaria, e per la prima volta in maniera così massiccia, ma la scure della censura sull’eccentricità è sempre affilata. Xi ha inoltre affermato: «Noi diamo il benvenuto alle imprese straniere di internet, purché rispettino le leggi cinesi». Non senza conflitti e contraddizioni. Così dopo anni in cui era riuscita ad aggirare le restrizioni che Pechino impone ai giganti high tech stranieri, Apple a metà aprile si è vista bloccare i servizi iBook Store e ITunes Movies. Pechino rafforza il controllo sui contenuti che arrivano da fuori. E protegge la crescita degli attori di casa.
Il potere è consapevole che uno scatto verso nuove energie è necessario per non ossificare la Cina, ma le conseguenze possono essere dolorose. Uscire da una dimensione quantitativa dello sviluppo vuol dire tagliare i rami secchi delle aziende improduttive. Tutto ciò ha delle ripercussioni sull’occupazione dunque sulla stabilità. E potrebbe condurre verso nuove disuguaglianze sociali, proprio mentre il rallentamento dell’economia richiederebbe prudenza per evitare aperte rivendicazioni sociali.
Ma il cambiamento in corso è l’ultima conseguenza delle riforme avviate il secolo scorso, quando Deng Xiao Ping, con una virata di 180 gradi dal maoismo egualitario, stabilì che «arricchirsi è glorioso», accese il fuoco per l’individualismo e tolse il coperchio dalla pentola ormai in ebollizione. Le aziende di Stato iniziarono allora ad agire con criteri sconosciuti: efficienza, profitto, concorrenza. E la proprietà si trasformò, aprendo la strada a imprese più piccole, interamente private, impostate verso finalità non collettive.
Anche per le startup le briglia sciolte concesse da Pechino hanno nel pragmatismo la loro stella polare. Qualsiasi cosa arricchisca gli individui, procura il bene della Cina, recita il mantra di Deng Xiaoping. Ma una volta dato libero sfogo alla creatività dei nuovi startuppari di casa, il potere potrebbe trovare complicato rimettere il coperchio sulla pentola.

Pagina 99, 30 aprile 2016

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