13.2.17

Per apprezzare la toma ci vuole un bel tomo (Rocco Moliterni)

Se c’è un formaggio che identifica il Piemonte questo è la toma, anche se ufficialmente si chiama il toma. Lo fanno a Biella come a Cuneo, nel Torinese come nell’Alessandrino. Siccome in Italia tutto è complicato, c’è chi dice che il nome toma venga però dalla Sicilia (dove si fa la tumma o tuma), attraverso la Francia (dove si fa la tomme). Infatti particolarmente pregiata è la toma di pecora brigasca, che vive a Briga o Brigue, paese di confine tra Italia e Francia. Di sicuro le tracce di questo prodotto di latte vaccino (ma si fa anche con quello di capra, come abbiamo visto prima, tanto per complicare le cose) si perdono nel Medioevo. Allora pare fosse però diverso da oggi perché più stagionato e piccante e le cronache tardo-medievali dicono che proprio per questa caratteristica fosse un cibo dei poveri: si saziavano in fretta e con questo formaggio sostituivano le spezie, molto care.
E’ chiaro a questo punto che per parlare in modo esauriente della toma ci vorrebbe un trattato di «tomistica», che per il suo spessore sarebbe un bel tomo. D’altronde non potrebbe essere piccolo perché in tal caso si confonderebbe con il tomino, la formaggella fresca che nelle osterie o piole torinesi si accompagna con le salse al peperoncino, diventando il tomino «elettrico». Nonostante sia simbolo del Piemonte, la toma non si è diffusa oltre i confini regionali con l’Unità d’Italia. Un tentativo di lanciarlo nella capitale, negli Anni 60, pare sia andato a vuoto benché fosse già pronto lo slogan: «Toma, nun fa’ la stupida stasera». 

“La Stampa” 25/08/2011 - Rubrica Fratelli di teglia

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