22.2.17

La coscia di Zeus. A colloquio con Jean-Pierre Vernant (Enrico Filippini)

Ingres, Giove e Teti (1801)
ROMA
Questa volta, Jean-Pierre Vernant è venuto nella nostra città (dove viene abbastanza spesso) per partecipare a un convegno che inizia oggi nella Sala del Consiglio della II Università, a Tor Vergata, sul tema Corpo degli Dei, corpo degli uomini, coordinato da Charles Malamoud, Mario Perniola e Riccardo Scrivano. Un tema, evidentemente, non di tutti i giorni, visto che gli Dei sono spariti, o almeno così pare... Sono spariti gli Dei, professor Vernant? "Ah, questo è da vedere...".
Qui da noi, tra noi monoteisti, quando si parla di Dei si pensa soprattutto agli Dei dell'antica Grecia. E lei è un grecista. Allora mi consenta una domanda un po' generale: fino a qualche anno o a qualche decennio fa, quando si parlava dell'antica Grecia, si pensava ai grandi studiosi tedeschi e, in seconda istanza, inglesi. Oggi c'è un interesse evidente per gli studi francesi. Penso, oltre che a lei, a Marcel Detienne, a Pierre Vidal-Naquet, anche a Paul Veyne... "Sì", risponde il settantaduenne e vigoroso ex professore del Collège de France, che di questi "nuovi grecisti" è stato il capofila, "c'è stata una tradizione tedesca storica e filologica molto forte, che è durata fino all'inizio della seconda guerra mondiale: basti ricordare i nomi di Werner Jaeger, di Hermann Fraenkel e di Bruno Snell. Poi negli studi classici c'è stato un cambiamento. E per quanto riguarda la Francia - la ringrazio del suo apprezzamento - bisogna ricordare innanzitutto il lavoro di Louis Gernet, grande ellenista e membro della scuola sociologica francese di ispirazione durkheimiana, che cominciò a vedere la Grecia non più come un "miracolo" unico e da imitare, com'era per l'umanesimo tradizionale, ma come una esperienza tra le altre, come la Cina, l'India, la civiltà assiro-babilonese".
A quest'interesse hanno contribuito anche altre discipline? "Certamente: da noi come in America, la linguistica, la semiotica, l' analisi del racconto e la storia delle mentalità, per non dire dell' etnologia".
E lo strutturalismo degli anni Sessanta? E Lèvi-Strauss? "Anche, anche! Io, che sono il più vecchio, sono stato il primo a venir definito strutturalista. Infatti avevo applicato il metodo strutturale alla tragedia. Ma con la consapevolezza che esso non bastava: bisognava capire anche le condizioni storiche della produzione e della ricezione della tragedia, grande fenomeno espressivo che, tuttavia, durò appena un secolo".
A questa correzione contribuì il marxismo? "In parte. Ma il marxismo ha troppe porte, troppe finestre, troppe vie di entrata e di uscita. Cos'è il marxismo? Il mio, nella mia giovinezza, non fu quello cristallizzato di cui spesso si parla, o di cui si parla poco in Francia e troppo in Italia, ma appunto una maniera di approccio storico, niente di più".
Veniamo agli Dei... "Ecco, due anni fa, il Cnrs, che è l'equivalente del vostro Cnr, ha varato un progetto di studi che raggruppa vari tipi di ricercatori e che ha come oggetto il politeismo. Noi siamo monoteisti, come lei diceva, ma bisogna chiedersi: c'è una differenza strutturale tra i due gruppi di religioni, quelle politeiste e quelle monoteiste? Lei capisce la complessità del problema: confrontare tutte le religioni politeiste dell'Egitto, dell'Asia, dell'Africa, nonchè quelle greco-romane e una religione, quella ebraico-cristiana, dove c'è un Dio trascendente, unico, col quale si ha un rapporto personale. Da qui la presenza al nostro convengo di un indianista, Charles Malamoud, di un sinologo, Jean Levy, di un'orientalista, Elèna Cassin, di un africanista, Marc Augè, eccetera”.
E il corpo che c' entra? "I vari gruppi di studio si sono occupati di problemi particolari, uno dei quali è il corpo degli Dei o del Dio: ci si lavora da due anni coi colleghi di Roma II".
Già, gli Dei del politeismo avevano un corpo: la coscia di Zeus, il busto di Apollo, i fianchi di Venere... Ma, se ben ricordo, Detienne ricorda che nel 1724 Fontenelle, nella sua "Origine delle favole", affermava che si trattava di menzogne ovunque accreditate, "fatta eccezione per il popolo eletto, presso cui una speciale grazia della Provvidenza ha conservato la verità". Dunque, noi monoteisti... "Per noi monoteisti, per noi ebrei e cristiani, il politeismo è idolatria: gli Dei pagani sono rappresentati con corpi umani, o con semplici organi, o addirittura come animali. Ma questi "idoli" che cosa significano? Perché ci sono Dei mostruosi, o grotteschi, o orrendi? Pensi a Dioniso, a Priapo, alla Gorgona. Si possono descrivere, ma una volta descritti ci si deve domandare: cosa c' è dietro? In queste forme di pensiero, una divinità è una presenza, ma la religione è anche un culto, cioè una serie di gesti che ordina il rapporto tra l'uomo e la divinità. E questo rapporto è innanzitutto un rapporto corporale: pensi a Omero, a cosa sentono gli eroi nel corpo, nelle gambe, nei polmoni...".
Però... "Lo so: qui c' è il primo paradosso: la divinità si presenta nella sua corporeità, ma nello stesso tempo è anche altrove, assente, sfuggente. Lo chiamerei il paradosso dell' idolo". Sì, ma... "Certo, occorre fare un passo avanti, decisivo. Io dico che gli Dei hanno un corpo, e lo dico come se sapessi che cos'è un corpo. Perché? Perché nel solco del pensiero successivo greco e poi cristiano, io credo di sapere che il corpo è quella tal cosa, estranea, oggettiva e materiale che è separata dall'anima. In Platone il tema è trattato con molte precauzioni, ma nei medici suoi contemporanei molto meno. Tenga presente che originariamente il vocabolo soma designava il cadavere. Ma prima, nell' era degli Dei, per esempio in Omero, come hanno mostrato, non so, Frankel e Snell, gli organi corporei erano indissolubilmente connessi con funzioni psichiche: pensi al sangue, alla bile, al respiro... Voglio dire: il vocabolario corporale era per i greci antichi un codice con cui essi esprimevano un rapporto con se stessi, con gli altri, e col divino. Pensi al panico, alla collera, al furore...".
Sto pensando all'"Iliade". "Appunto, un testo come l'Iliade è, tra l'altro, una messinscena della presenza divina realizzata col vocabolario della corporeità... Naturalmente lei mi potrebbe chiedere: qual è l'analogia tra la corporeità umana e quella divina? Nel caso greco, quest'analogia è imperfetta nel senso che gli uomini non hanno un vero corpo, ce l'hanno inferiore, debilitato, preso nei cicli naturali, mortale; mentre sono gli Dei che incarnano i veri valori corporali: giovinezza, forza, agilità... Anche se, per un ennesimo paradosso, essi sfuggono ai valori corporali: sono ubiqui, immortali, onnipotenti. Anch'essi sono qui e altrove: sono indici simbolici che mostrano come sfuggire al codice corporale...". Siccome però noi siamo monoteisti, volevo ricordarle la frase di Fontenelle... "Certo, nel cristianesimo e, prima, nell'ebraismo, c'è un grande sforzo di non-figurazione: Dio non ha più corpo, anche se ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. Ma in realtà, il popolo eletto, che ha un patto con Dio, è il corpo di Dio, più o meno come lo sarà la Chiesa. In secondo luogo - come lei monoteista e cristiano sa - il cristianesimo assegna un posto fondamentale all'incarnazione, per cui la corporeità non è più solo presenza (di un toro, di un serpente, di un corpo apollineo e via dicendo), ma un codice che permette di pensare il peccato, la colpa, la mancanza... Fontenelle si sbagliava: la situazione non cambia, il problema del corpo rimane".
Lei vede dunque una continuità tra politeismo e monoteismo. "Da questo punto di vista sì. Io non faccio della filosofia religiosa, ma solo dell'antropologia religiosa comparata. Col monoteismo, il problema del corpo si sposta ma insieme si rafforza: pensi che alla fine dei tempi ci sarà la resurrezione della carne. Lei alludeva prima alla medicina. Col cristianesimo si crea, in un certo senso, una doppia medicina: quella che riguarda il corpo terreno e quella che si compie nel corpo celeste...".
Professor Vernant, io ho letto un suo testo, molto bello, sul passaggio dal pensiero mitico al pensiero filosofico in Grecia, e ho notato che lei presta attenzione, come anche prima diceva, ai fattori storici di questi cambiamenti. Voglio chiederle: anche il pensiero del corpo è legato alle funzioni di potere? Per esempio: Minosse è re, e dunque sacerdote. Com'è noto, sua moglie Pasifae partorisce il Minotauro dopo essersi accoppiata, nascosta dentro la "falsa vacca", col toro bianco. Tuttavia, è gelosa di Minosse, molto dedito ad amori adulterini. Così gli fa un incantesimo, e il suo sperma si trasforma in un getto di ragni, serpenti, scorpioni, che devastano il ventre delle sue amanti... Voglio dire: nel mito di Minosse, che è un racconto del potere, il corpo ha molto a che fare. "Non c'è dubbio. Nella Grecia antica, il corpo ha sempre un ruolo essenziale quando il personaggio in questione ha un ruolo regale, cioè fino alla fondazione della polis. Come, più tardi, per i santi, o per i re di Francia, i cui corpi devono recare i segni della presenza divina nella loro persona. Pensi alle innumerevoli reliquie...". Poi però, un po' prima e un po' dopo la fondazione della "polis", nasce un altro corpo, quello che ci ritroviamo qui... "Sì, forse. Ma evidentemente questo sarebbe l'argomento per un' altra intervista".


“la Repubblica”, 23 gennaio 1986  

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