23.2.17

Novembre 1917. Gorkij contro Lenin: “Infamano a sangue freddo la rivoluzione”

In occasione del centenario della Rivoluzione russa e in attesa che a Perugia si organizzi qualcosa credo utile postare, a memoria mia e di altri, nuovi materiali dal mio archivio di ritagli, eterogenei com'è consuetudine, ma utili a capire.
Qui riprendo un testo che Vittorio Strada tradusse e riprese per “la Repubblica” nel 1976, un articolo scritto da Maksim Gorkij e pubblicato originariamente sul giornale pietrogradese “Novaja Zhizn” (“Vita nuova”) il 10 novembre del 1917, subito dopo l'assalto al Palazzo d'Inverno e la presa del potere da parte dei bolscevichi. Nonostante le critiche di Gorkij a una presunta “soppressione della libertà di stampa” da parte di Lenin e Trotskij, il testo circolò abbastanza liberamente, come circolarono le critiche, sostanzialmente convergenti, di Plechanov e di molti altri esponenti della socialdemocrazia russa alla Rivoluzione d'Ottobre. In nome dell'“impreparazione” della Russia al socialismo, la scelta di Lenin viene giudicata una forzatura volontaristica imposta alle masse, una eredità deleteria dell'avventurismo anarchico e nichilista dei Bakunin e dei Neciaev e una premessa per gravissimi disastri futuri.
Gorkij, com'è noto, cambiò idea e s'inserì, dopo un'opposizione durata alcuni mesi, nel corso impresso alla rivoluzione da Lenin, accettando successivamente lo stalinismo. In questo blog è presente una pagina dal Viaggio sentimentale di Sklovskij fortemente critica verso il bolscevismo di Gorkij, cui egli rivolge con un tono lievemente più misurato esattamente le stesse accuse che costui faceva a Lenin. 
S.L.L.
Gorkij e Lenin in una rappresentazione agiografica d'epoca staliniana
Vladimir Lenin introduce in Russia il regime socialista col metodo di Neciaev: «a tutto vapore attraverso il pantano».
E Lenin e Trotskji e tutti gli altri che li accompagnano al disastro nella palude della realtà, devono essere convinti con Neciaev che «col diritto all’infamia ci si può facilissimamente trascinare dietro i russi», ed ecco che essi infamano a sangue freddo la rivoluzione, infamano la classe operaia, costringendola a organizzare sanguinosi macelli, istigandola a compiere violenze e ad arrestare persone di nulla colpevoli come A.V. Kartascev, M.V. Bernatskji, A.I. Konovalov e altri.
Costretto il proletariato ad acconsentire alla distruzione della libertà di stampa, Lenin e i suoi scherani hanno così legittimato per i nemici della democrazia il diritto di tappare ad essa la bocca; minacciando con la fame e le violenze tutti quelli che non sono d’accordo col dispotismo di Lenin-Trotskij, questi «capi» giustificano il dispotismo del potere contro il quale per un periodo tormentosamente lungo si sono battute tutte le forze migliori del paese.
L’«obbedienza degli scolaretti e degli stupidelli» che marciano dietro a Lenin e Trotskij, «ha raggiunto il massimo grado»; ingiuriando i loro capi alle spalle, ora allontanandosi da loro ora di nuovo a loro unendosi, gli scolaretti e gli stupidelli alla fin fine servono docilmente la volontà dei dogmatici ed eccitano sempre più nella massa più oscura dei soldati e degli operai speranze inattuabili di cuccagna.
I leninisti, che si credono i Napoleoni del socialismo, si agitano come dannati, completando la distruzione della Russia: il popolo russo pagherà tutto ciò con laghi di sangue.
Lenin, s’intende, è un uomo di una forza eccezionale; per venticinque anni egli è stato nelle prime file dei combattenti per il trionfi del socialismo ed è una delle figure di maggior peso e rilievo della socialdemocrazia internazionale; uomo d’ingegno, egli possiede tutte le qualità del «capo», compresa l’assenza di morale che è necessaria per questo ruolo e quell'atteggiamento spietato verso la vita delle masse popolari che è proprio del gran signore.
Lenin è un «capo» e un gran signore russo, non privo di certe qualità spirituali di questo ceto ormai scomparso, e perciò egli si ritiene in diritto di fare col popolo russo un esperimento feroce, in anticipo condannato all'insuccesso.
Estenuato e rovinato dalla guerra, il popolo ha già pagato questo esperimento con migliaia di vite e sarà costretto a pagare con decine di migliaia di altre vite, il che lo lascerà per lungo tempo decapitato.
Questa inevitabile tragedia non turba Lenin, schiavo del dogma, e i suoi scherani, suoi schiavi. La vita, in tutta la sua complessità, è ignota a Lenin, che non conosce la massa popolare, non è vissuto con essa, ma che — sui libri — ha imparato come si può far ribellare questa massa, come se ne scatenano nel modo più facile gli istinti. La classe operaia per Lenin è la stessa cosa che per i metallurgici il minerale. È possibile, in tutte le condizioni date, fondere con questo minerale lo stato socialista? A quanto pare è impossibile; ma perché non provare? Che cosa rischia Lenin se l’esperimento non riesce?
Egli lavora come un chimico in laboratorio, con la differenza che il chimico si serve della materia morta, ma il suo lavoro dà un risultato prezioso per la vita, mentre Lenin lavora su materiale vivo e porta a rovina la rivoluzione. Gli operai coscienti che seguono Lenin, devono capire che con la classe operaia russa si sta facendo un esperimento spietato, esperimento che annienterà le forze migliori degli operai e per lungo tempo arresterà il normale sviluppo della rivoluzione russa.


(trad. di Vittorio Strada) - “la Repubblica”, 6 novembre 1976

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