9.2.17

Scandalosa Colette (Letizia Paolozzi)

Troppo circondata dal profumo di scandalo della sua vita, Colette sembra, fra le donne scrittrici, una delle meno amate dalla critica. Per via del successo così eccessivo? Oppure di una promozione legata più ai dati esistenziali — una vita «scandalosa» — che agli elementi letterari? Certo, questa antesignana di una rivolta sessuale non è piaciuta nemmeno tanto al femminismo, il quale, come tutti i movimenti, coltiva una buona dose di moralismo.
Perciò, gli amori maschili e femminili; l'aver divorato mariti; la presenza nelle accademie ma anche nei saloni di bellezza (ne fondò uno con scarsa fortuna); l'essere stata la prima donna ad avere funerali di Stato (ma la chiesa le rifiutò le esequie religiose) hanno funzionato da calmiere delle sue qualità artistiche.
Gabrielle-Sidonie Colette nasce a Saint-Sauveur-en-Puysaye nel 1873. A Parigi arriva nel '93, giovane sposa campagnola del molto navigato giornalista Henry Gauthier-Vlllars (Willy). Con lui entra nel salotti; di lui diventa «il negro». Scriverà, infatti, a onore e gloria del marito, celata dietro la maschera e il nome di Willy, centinaia di pagine che attingono ai ricordi d'infanzia, alle pruriginose memorie dell'adolescenza. Sono i romanzi della serie di «Claudine». Quelle «Claudine» che rappresentano una forza ma anche una specie di castigo. «Un errore che vi si appiccica alla pelle» osserverà Colette. Con quel che segue di consumismo: cappelli, colli, lozioni, i celebri «twins», stravenduti nella Francia primi del secolo.
Nel 1910 il divorzio dal marito negriero. Aveva cominciato nel 1906 a muoversi verso una sorta di indipendenza economica scegliendo la carriera del mimo e del music-hall. Da sola, sorretta da amicizie saffiche: Nathalie Barney, Renée Vivien e soprattutto Missy, marchesa di Belbeuf. Willy è stato uno sfruttatore, per di più infedele. Quelle donne l'accoglieranno con serenità. Le daranno la forza di rifiutare una morale che la borghesia trionfante impone con soddisfazione. «Io dico che, se un "anormale" si sente anormale, non è anormale. Anzi, dico di più: uno o una anormale non deve mai avere una sensazione di anormalità».
Nascono le grandi opere di Colette. La scrittura si ordina, la libertà si organizza. Romanziera, giornalista, cronista di una città e di un'epoca ma anche donna che ha osato mostrarsi nuda sulla scena, non le perdonano gli scarti sentimentali e ragazza di campagna l'aver descritto, ormai donna, situazioni moralmente non ineccepibili. Di «Le blé en herbe» deve interrompere le pubblicazioni a puntate sul «Matin». «Il puro e l'impuro» subisce la stessa sorte. La serie di «Chéri» la critica l'accoglie con malevolenza. Quel suo «secondo mestiere» non si addice a uno scrittore vero.
La recente pubblicazione dei quattro romanzi delle «Claudlne» (Rizzoli, lire 40.000), della «Nascita del giorno» (Adelphi, da cui erano già usciti «Il puro e l'impuro», «Il mio noviziato», «Chéri», «La fine di Chéri») e di quel piccolo gioiello «giallo» che è «Hotel Bella Vista» (Tartaruga nera, lire 12.000), possono servire a combattere l'ambiguo fastidio che sempre accompagna i protagonisti di comportamenti irregolari.
I libri, pur diversi fra loro, sono legati da un filo che si rintraccia facilmente. Ha ragione Carlo Bo, nella prefazione alle «Claudine»: qui circolano già tutti i motivi che faranno di Gabrielle-Sidonie Colette semplicemente Colette. All'inizio, è vero, la scrittura è di getto. Un fiume in piena che spesso esce dagli argini. La sincerità non trova ancora la sua misura. Ci vorrà tempo per raggiungere lo stile della «Nascita del giorno». Adesso è una donna matura, ha più di cinquantanni. Vuol chiudere con quella sua «vita da militante». Vuol chiudere con l'amore. «Una delle grandi banalità dell'esistenza, l'amore, scompare dalla mia. Un'altra grande banalità è l'istinto materno. Usciti da quelle, ci accorgiamo che tutto il resto è allegro, vario, abbondante; ma non se ne esce né quando né come si vuole».
Colette ha sofferto d'amore, di questo «passatempo senza dignità». L'amore-specchio, l'amore-dovere, l'amore-dedizlone: Impossibile credergli. Distribuisce sofferenze, sconfitte. A testimonianza ci sono i tre matrimoni. Con Willy; con Henry de Jouvenal, redattore capo del «Matin», con Maurice Goudeket, sposato nel 1935, di sedici anni più giovane. E già c'era stata la passione per il figliastro, Bertrand de Jouvenal. «Non dovete immaginarci, "noialtre", tremanti e sgomente sotto la luce di un avvenire breve, in atteggiamento da mendicanti davanti all'uomo amato, oppresse dalla coscienza della sua condizione. Abbiamo in noi più incoscienza, grazie a Dio, più coraggio e più purezza. Che cosa sono ai nostri occhi, quindici anni di differenza?».
L'amore, dunque, non è un sentimento onorevole. Lascia cicatrici. Però anche arricchisce. Naturamente con il tempo. Quando, e se, si diventa imparziali. Colette ci prova. Non teme il ridicolo. Sa dell'approssimarsi della vecchiaia. Le esagerazioni, i radicalismi, gli accenti gridati mal si adattano a chi dovrebbe, a quell'età, coltivare una sola virtù: «Non fare del male a nessuno».
Colette deve «vivere — o anche morire — senza che la mia vita o la morte dipendano da un amore. Da ora in poi, la mia tristezza se sono triste, la mia allegria se sono allegra, dovranno fare a meno di un motivo che gli è bastato per trent'anni: l'amore».
Nell'«Hotel Bella Vista» ancora motivi autoblografici. Siamo in un semplice albergo della Costa Azzurra, non lontano da Saint Tropez. Pochi ospiti: la scrittrice e un impiegato di ministero. Oltre alle due proprietarie dell'albergo. «È una pazzia credere che i periodi vuoti d'amore siano gli spazi bianchi di un'esistenza di donna. È anzi vero il contrario. A raccontarlo, cosa rimane di un legame appassionato? L'amore perfetto si racconta in tre righe: Lui mi ha amata, io l'ho amato, la Sua presenza ha cancellato tutte le altre presenze; insieme fummo felici, poi Lui smise di amarmi! io ne soffersi....». Così ha inizio il «giallo», solcato dal mistral della Provenza. Testimoni muti la cagnetta Patì, un nido di uccelli, dei pappagallini con «l'occhio azzurrato fra due orli di pelle grigia». Sullo sfondo il Midi che Colette imparò a capire attraverso La Trellle Muscate, la casa acquistata vicino a Saint Tropez.
Dalle «Claudine» a «Hotel Bella Vista», la scrittura dà la misura dell'istante. Una mimosa, un ramo carico di frutta, un bicchiere colmo di menta. Meravigliose scoperte recuperate dal tocco voluttuoso di Colette. Come la madre che desidera stringere il suo bambino e lo evita per paura di fargli male, la scrittrice impara a dominarsi. Una fatica, una accuratezza, una costrizione, quei succhi, quegli odori che distilla dal linguaggio. Ma rimane fedele alla scuola di sincerità in cui era cresciuta. Una «vagabonda» senza rimorsi negli scambi sessuali. Nel maschile e femminile che si confondono come in un eden primigenio.
Colette senza peccato. Altri, Gide, Mauriac, avrebbero bruciato sul letto di carboni ardenti. Perciò, forse, lei è stata definita frivola. Mentre era lucida, poco lamentosa. L'hanno guardata dall'alto in basso: letteratura istintuale, la sua. Per via della capacità di essere leggera nella serietà. Qualcuno l'ha paragonata a Delly. Simone de Beauvoir, nelle «Memorie» racconta che Colette le chiese: «"Signora, le piacciono i gatti?". "Per niente". Mi fulminò con i suoi occhi azzurri». Aggiunge, sprezzante, la normalienne «La cosa mi era indifferente».
I piaceri fisici, la natura, il femminile. Il rifiuto della metafisica e invece un attaccamento alla terra, ai suoi colori. E sapori. È il corpo che pensa, con Colette. È il piacere che parla attraverso la scrittura.
In fondo anche per questo Colette sarà poco apprezzata. Per il continuo scambio tra realtà (della sua vita) e finzione (nella sua opera) che operano ì lettori. Per l'intreccio tra elementi che appartengono al costume e elementi che sono della letteratura. Una maestra del quotidiano, una nemica delle idee generali, schiacciata dal carico delle esperienze irregolari, morbose, esibizionlste. Thibaudet non la cita nella sua storia della letteratura contemporanea. Al cimitero di Pére Lachaise, dove è sepolta, sulla tomba una frase brevissima: «Qui riposa Colette, 1873-1954».


“l'Unità”, 21 settembre 1986

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