In una stanza disadorna e bianca,
Dove non c’è che un desco ed una
panca
E un grande crocifisso alla parete.
Sulla tovaglia fresca di bucato
C’era un vinetto trasparente e puro,
E in faccia a me danzavano sul muro
L’ombre de le alberelle del sacrato.
Un grato odor d’incenso a quando a
quando
Veniva dalla muta sacristia,
Ed una vecchia serva umile e pia
Ci girellava intorno zoccolando.
E c’era un’aria, un’ombra, una
freschezza
In quella stanza candida e modesta!
E tanta pace in quella faccia onesta
Di vecchio prete, e tanta gentilezza!
Ei mi parlava de la sua cappella
E dell’orto e dell’uve e del paese,
Ed ogni sua parola era cortese
E ingenuamente colorita e bella.
E muto tratto tratto e sorridente
Fissava in contro al sole il suo
vinetto,
E mettendo la man larga sul petto
Ne delibava un sorso lentamente.
E in me figgendo le pupille vive
Come volesse indovinarmi il core:
Ebbene, ebbene — mi dicea —
signore,
Cosa scrive di bello? Cosa scrive? —
Quindi, bevendo un’altra sorsatina,
Soggiungeva: — Signor, non si
sgomenti;
Bisogna pur ch’io beva e mi sostenti!
Lo sa che a giorni tocco l’ottantina?
—
E mi facea gli onor dell’umil desco
Dicendo in atto di gentil rispetto:
— Provi il mio vino, e mi dirà se è
schietto;
Provi il mio burro, e mi dirà se è
fresco. —
Indi tacendo in un pensiero assorto
S’accarezzava i candidi capelli,
Ed io sentivo bisbigliar gli uccelli
E una zappa sonar lenta nell’orto.
E una zappa sonar lenta nell’orto.
Poesie,Treves, 1882
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