Avevo comprato a Villa San Giovanni qualcosa da mangiare, pane e formaggio, e mangiavo sul ponte, pane, aria cruda, formaggio, con gusto e appetito perché riconoscevo antichi sapori delle mie montagne, e persino odori, mandrie di capre, fumo di assenzio, in quel formaggio. I piccoli siciliani, curvi con le spalle nel vento e le mani in tasca, mi guardavano mangiare, erano scuri in faccia, ma soavi, con barba da quattro giorni, operai, braccianti dei giardini di aranci, ferrovieri con i cappelli grigi a filetto rosso della squadra lavori. E io, mangiando, sorridevo loro e loro mi guardavano senza sorridere.
«Non c’è formaggio come il nostro» io dissi.
Nessuno mi rispose, tutti mi guardavano, le donne dalla femminilità voluminosa sedute su grandi sacchi di roba, gli uomini in piedi, piccoli e come bruciacchiati dal vento, le mani in tasca. E io di nuovo dissi: «Non c’è formaggio come il nostro».
Perché ero d’un tratto entusiasta di qualcosa, quel formaggio, sentirmene in bocca, tra il pane e l’aria forte, il sapore bianco eppur aspro, e antico, coi grani di pepe come improvvisi grani di fuoco nel boccone. «Non c’è formaggio come il nostro» dissi per la terza volta.
Allora uno di quei siciliani, il più piccolo e soave, e insieme il più scuro in faccia e il più bruciato dal vento, mi chiese: «Ma siete siciliano, voi?». «Perché no?» io risposi.
Postilla
Questo post è tratto dal III capitolo di "Conversazione in Sicilia". L'ho qui riportato per fissare con le parole di un grande scrittore la gioia di mangiare pane e formaggio in Sicilia e dintorni (qui siamo sul traghetto). La voce narrante è del personaggio protagonista, a sua volta proiezione dello scrittore. Il piccolo siciliano che gli rivolge la domanda lo crede americano perchè mangia di mattina ("un siciliano non mangia mai di mattina").
1 commento:
Mi hai fatto ricordare il dialogo tra il venditore di arance e la figlia, avvenuto sempre sul traghetto. Erano venuti in Sicilia per vendere un cesto di arance ma non avevano avuto fortuna. Erano perciò costretto a mangiare, per placare i morsi della fame, le arance che non avevano potuto smerciare. Un pasto di arance al posto del pane e del nostro buon formaggio che da allora mi fece odiare le arance
Pietro
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