23.6.16

Cannabis in Usa. Il business dell'erba legalizzata (Andrea Indiano)

LOS ANGELES - Gli amanti della marijuana negli Stati Uniti si preparano a passare un lieto 20 aprile. Il giorno è divenuto la data-simbolo, per quanto informale, della canapa indiana. Secondo l’usanza americana la data viene scritta con il mese prima del giorno, ovvero 4/20. E le cifre ricordano un orario caro ai fumatori degli States, le quattro e venti del pomeriggio: il momento in cui, negli anni ’70 , un gruppo di consumatori californiani si ritrovava ogni giorno per rivendicare il diritto a fumare. Non a caso la proposta di legge per la legalizzazione totale in California, ora al vaglio dei deputati, porta il numero 420.
Negli Usa sono ormai 23 gli Stati che hanno acconsentito alla vendita della sostanza in maniera legale. In cinque (Alaska, Colorado, Washington, Oregon e Washington D.C.) la canapa è concessa anche per uso ricreativo: questo vuol dire che chiunque può acquistarne una piccola quantità, purché sia maggiorenne e abbia un documento di identità valido.
Negli altri 19, che vanno dal piccolo Rhode Island fino alla California, fumare è consentito solo a chi ha una prescrizione medica scritta da un dottore riconosciuto dallo Stato. «Abbiamo clienti di tutti i tipi, uomini e donne», spiega Amy del rivenditore Zen Healing di Los Angeles. «Il nostro negozio è come un club privato, dove ognuno deve farsi registrare. Basta la tessera medica rilasciata da un dottore».
Ottenere questa medical card in California è abbastanza facile. È risaputo che basta recarsi da dottori non troppo severi, adducendo problemi come mal di schiena o insonnia, per avere in mano dopo pochi minuti l’ambito pezzo di carta. Foglio alla mano, si può andare in uno dei numerosi negozi che vendono il prodotto e fare compere. Dall’erba sfusa fino ai biscotti ripieni, passando per gli spinelli già preparati o i vaporizzatori, si può acquistare ciò che si desidera, rispettando sempre il massimo consentito dalla legge dello Stato. Dopodiché si è liberi di accendersi una canna di fronte a un poliziotto senza nulla temere. Ed è proprio questo che molti americani faranno il 20 aprile, quando le manifestazioni per festeggiare il 4/20 si svolgeranno all’aperto in molte città. «Dobbiamo rispettare alcune regole ben precise», continua Amy. «Non possiamo fare pubblicità, non possiamo avere il negozio a meno di mille metri da una scuola e dobbiamo restare no profit».
I rivenditori autorizzati sono quindi una sorta di organizzazione privata, e la vendita di marijuana non dovrebbe costituire fonte di guadagno diretta: il costo dell’erba venduta ai membri, ovvero ai clienti del negozio, rientra nella categoria donazioni. Un escamotage con cui la California sembra essersi messa a posto la coscienza senza rinunciare al profitto.
I benefici economici della legalizzazione sono consistenti. A Denver, capitale del Colorado, sono arrivati circa 70 milioni di dollari in tasse sui profitti del commercio di marijuana: una somma maggiore di quanto incassato dalla vendita di alcol. Si stima che se tutti e 50 gli Stati approvassero la legge per la vendita, i forzieri pubblici potrebbero incassare fino a 35 miliardi di dollari.
A giovarsene non è solo il governo: anche coltivatori e rivenditori hanno trovato un nuovo prodotto da mettere sul mercato. «Abbiamo potuto lanciare la nostra app per smartphone grazie alla crescente richiesta di cannabis», racconta a pagina99 A.J. Gentile, che ha creato Speed Weed per la consegna a casa di marijuana. «Contiamo più di 20 mila clienti. È una sana abitudine che hanno in molti, inutile far finta che non esista». Ad avvantaggiarsene è anche il turismo, che in Stati come il Colorado è aumentato del 10% grazie ai cosiddetti tour della ganja.
Il business è entrato nei radar delle grandi multinazionali. Negli anni ’90 la Philip Morris ha condotto degli esperimenti sulla marijuana per conto del governo americano, che voleva studiarne gli effetti, e ora sarebbe pronta per la produzione di massa. «Come si sono fiondati sul mercato delle sigarette elettroniche dopo il loro successo, così faranno con la canapa», sostiene Stanton Glantz del Centro studi sul tabacco dell’Università di San Francisco. «Hanno tutti i mezzi per coltivare erba su larga scala. Per ora stanno monitorando la situazione, i loro azionisti non vogliono perdere un business che si sta rivelando così fruttuoso». Una prospettiva che non entusiasma Amy: «Abbiamo il nostro campo per coltivare l’erba, e poi la compriamo dai nostri stessi clienti. Per ora va bene così, le multinazionali potrebbero rovinare tutto».
Soprattutto per i guadagni in ballo, in California si spinge affinché la legalizzazione diventi completa, e anche i deputati più conservatori stanno cominciando a mettere in dubbio la propria opposizione. Grazie alla vendita a scopi medici, nelle casse dello Stato sono entrati tre miliardi di dollari nel solo 2015, che potrebbero diventare sette con la liberalizzazione completa. Soldi che in precedenza andavano nelle tasche dei cartelli criminali dietro il traffico d’erba.
Il problema della legalità si fa sentire inoltre per i numerosi cittadini in prigione per reati minori legati allo spaccio. «Bisogna distinguere fra depenalizzazione e incoraggiamento all’uso», ha detto di recente il presidente Obama, «però mantenere nelle carceri chi ha commesso reati non violenti per motivi che non sono illegali altrove è un enorme costo per lo Stato».
Affari a parte, sono in molti a volere la regolarizzazione della canapa, anche tra i professionisti del settore sanitario. «La marijuana ha un potere anti-infiammatorio molto elevato», racconta Rachna Patel, dottoressa abilitata a prescrivere l’acquisto di erba a scopo medicinale in California. «Ho clienti di ogni età e mestiere che, grazie agli effetti anti-dolorifici della cannabis, sono riusciti a non utilizzare più i prodotti da farmacia. È provato che con questa pianta si possono curare i dolori cronici, l’inappetenza e la nausea. Nonché ottenere sollievo per chi soffre di malattie più gravi grazie al Thc, il principio attivo della canapa in grado di rilasciare endorfine».


Pagina 99, 6 aprile 2016

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