11.6.16

Regressioni. In schiavitù a Perugia (S.L.L.)

Articolo vecchio, pubblicato senza firma nella rubrica “il fatto”, ma purtroppo sempre attuale.

A firma di Vanna Ugolini “Il Messaggero” ha collocato in prima pagina un articolo dal titolo Nuove schiave, ecco la casa delle torture, che poi prosegue in cronaca occupando, con il testo e con le foto, gran parte delle pagine 10 e 11. Alla periferia di Perugia è stato scoperto, da parte della Squadra Mobile, un casolare abbandonato, ove, secondo le cronache, venivano segregate, rinchiuse, spesso legate, talora battute e violentate ragazze, soprattutto dell’Est europeo, da una banda di moldavi.
Il racconto della giornalista, basato sulla testimonianza di una giovane donna fuggita ai suoi aguzzini, è “forte”, ma noi abbiamo trovato ancora più sconvolgente la foto dell’anello di ferro murato sulla parete cui le disgraziate venivano legate. Ci ha ricordato altri anelli che abbiamo visto in Africa, in una di quelle casematte dove i negrieri arabi o inglesi ricoveravano la loro “merce”, prima di imbarcarla e mandarla a destinazione. Abbiamo provato lo stesso gelo interiore, lo stesso disagio fisico, lo stesso scoramento e sconforto. 
Il prete Benzi, e con lui tanti altri, dicono “la prostituzione è sempre schiavitù”. Non è così. Molte volte le prostitute sono “libere” di vendere il loro corpo nel mercato e le loro prestazioni così come sono “liberi” di vendere gli operai la propria forza lavoro. Il mercato di beni e servizi (anche quello della prostituzione) non l’ha inventato il capitalismo, c’è da tempo immemorabile, ma è stata la nuova formazione sociale a renderlo “pervasivo”, ad estenderlo a tutti i rapporti umani. Nel capitalismo in ascesa, tuttavia, marciava un ambiguo processo di liberazione: per renderli disponibili allo sfruttamento nelle industrie si liberavano i contadini europei dalle servitù feudali, si liberavano i neri d’America dalla schiavitù delle piantagioni. Perfino la chiusura dei bordelli conteneva questo segno di ambigua liberazione. 
Ma Marx e i marxisti avvertivano: non c’è un capitalismo puro, permangono sempre residui di spossessione personale, di tipo feudale o schiavistico. E qualcuno di loro lasciava intendere che senza una rivoluzione sociale le aree di violenza regressiva si sarebbero ampliate: “socialismo o barbarie” - dicevano. 
Quando apprendiamo di ragazze legate e marchiate come bestie nei casolari, di bambini costretti a lavorare giorno e notte nelle caverne, di uomini e donne stipati in lerci pulmini e condotti ad una fatica senza regole da caporali che li tengono in pugno, ci pare che la profezia si avveri, che la barbarie avanzi. È il socialismo, è il sole dell’avvenire ad essere scomparso dall’orizzonte. Proprio ora che ce ne sarebbe più bisogno.


“micropolis”, ottobre 2006

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