1.7.16

Dinastie padronali. Le metamorfosi dei Pesenti (Michele Masneri)

AUGUSTA PESENTI
Basta con la pesantezza del cemento, arriva la finanza. I Pesenti cambiano ancora una volta pelle. Per i più piccini, la famiglia di imprenditori bergamaschi è stata per anni considerata parte del cosiddetto “salotto buono”, quello che ruotava intorno a Mediobanca, camera di compensazione delle grandi famiglie prevalentemente settentrionali.
Oggi i Pesenti, noti per essere i boss del cemento italiano, hanno venduto tutto, e hanno deciso di investire prevalentemente nella finanza tramite l’acquisto della maggioranza di Clessidra, un grande fondo di investimento che investe soprattutto in marchi italiani da rilanciare. Un’altra dinastia sceglie insomma di abbandonare qualcosa di molto solido e tradizionale, core business degli antenati, e di puntare su qualcosa di immateriale, da grandi imprenditori si diventa grandi azionisti. Può sembrare il destino di molte famiglie italiane, Agnelli naturalmente in primis, e con la dinastia torinese qui si condividono alcune sliding doors.
E però per chi conosce la famiglia bergamasca non è che l’ennesimo passaggio di stato: i Pesenti nascono infatti cartai, facevano la carta come nelle Illusioni Perdute di Balzac, il capostipite Carlo Antonio produce carta tirata a mano sulle rive del Serio; l’idea di passare al cemento verrà al figlio Carlo, che nel 1927 fonda la Italcementi, che per quasi un secolo sarà un colosso nazionale, quinto produttore al mondo con 6 miliardi di euro di fatturato, cavalcando il boom delle grandi opere, dall’autostrada del sole alla villetta abusiva per seconde case, tutti hanno bisogno di cemento. Terza generazione, Antonio, quarta generazione Carlo II, genio e sregolatezza dei Pesenti, che dal dopoguerra fino al 1984 trasforma la società di famiglia e la traghetta appunto nei salotti buoni, diversificando: compra una banca, l’Ibi, Istituto Bancario Italiano, e poi la Ras assicurazioni, e quotidiani come “La Notte” e il “Tempo”. Lo chiamano “Carletto pigliatutto”; Michele Sindona tenta un’opa ostile poi fallita; Carletto si compra – sliding door con casa Agnelli – la Lancia, il marchio più fico italiano, ormai decotto, da Gianni Lancia, ma poi la deve regalare agli amici torinesi perché fare macchine non è proprio un business che si improvvisa.
Con gli Agnelli, vicinanze e incontri: Augusta Pesenti, una Peggy Guggenheim di Bergamo Alta, consorte di un capofamiglia, fece costruire negli anni Trenta una sua villa a Forte dei Marmi accanto a quella Agnelli di Vestivamo alla marinara: la fece fare all’architetto Borsani, di uno strepitoso stile modernista-balneare, una specie di Lloyd-Wright marinaro, e qui viveva in una comune artistica, testimoniato anche oggi da un suo ritratto di Cesarino Monti, il Boldini viareggino, che la dipinge come una marchesa Casati acquatica. Di ville i Pesenti ne ebbero 7, al Forte, contro quella singola degli Agnelli (mentre oggi tutto fa parte del leggendario e splendido Hotel Augustus. La Pesenti, una villa, la regalò a una sua parrucchiera, forse per saldare un conto cospicuo o forse per eccentricità estrema).
Gli uomini di casa sono meno bizzarri: nel 1984 a Carlo succede Giampiero, “il giovane Pesenti”, nonostante i 53 anni, cambia nuovamente faccia all’impero, vendendo le partecipate e risanando le casse dalle diversificazioni fantasiose effettuate dal padre, entra nel consiglio di Mediobanca e in quella che sarà la un po’ effimera cristallizzazione dei salotti, la Gemina, al posto di Cesare Romiti.
Entra nel “Corriere”, è amico di Nanni Bazoli, e insomma fa tutto il cursus honorum del wasp all’italiana. Agnelli in sedicesimo, ancora una volta: i Pesenti, ha scritto Marco Ferrante, hanno un ruolo di stabilizzatori nell’economia italiana, «hanno buoni rapporti con tutti e vengono considerati un fattore di equilibrio». Lontani come si dice, dai riflettori, continuano a vivere a Bergamo, naturalmente alta, dove fanno vita ritirata. Mutamenti e ingrandimenti: Giampiero nel 1992 si compra Ciments Français, generando un colosso. Ma le aziende italiane che comprano all’estero raramente hanno un destino felice: ecco che solo qualche mese fa i Pesenti vendono tutto.
L’estate scorsa hanno ceduto la maggioranza ai tedeschi di HeidelbergCement, per quasi due miliardi di euro, una mossa obbligata visto che il settore si sta consolidando al massimo.
«Un imprenditore sa che l’importante è garantire lo sviluppo futuro dell’attività più che arroccarsi nella continuità del controllo dell’azienda», è stato il commento di Giampiero Pesenti. Nel frattempo, altri segni di aggiornamento dinastico alle ultime mode: sono usciti dal “Corriere”, ancora due anni fa, e non hanno nessuna intenzione di rientrarci, come qualcuno vorrebbe ora, magari in funzione del nuovo che avanza, cioè Urbano Cairo.
«Siamo usciti e assolutamente non rientreremo», ha detto Carlo III, ultima generazione, prolifico come tutti i Pesenti (sei figli), praticante di sport autopunitivi per ricchi – fa la maratona delle Dolomiti, 138 chilometri in bici, ogni anno, insieme a un altro rampollo, Rodolfo De Benedetti. Come quest’ultimo ama la finanza, ecco dunque spiegata l’ultima trasformazione della dinastia: investire – ma sono spiccioli, una ventina di milioni, rispetto al potenziale in cassa – in Clessidra, glorioso fondo di investimento italiano. Clessidra, nato nel 2003 dietro impulso del manager Claudio Sposito, ha sempre investito esclusivamente nel mercato italiano. Tra le sue partecipazioni ci sono la moda con Roberto Cavalli, i gioielli con Buccellati, il gioco con Sisal. Ma sono spiccioli, appunto. Il grosso non si sa se prenderà le strade immateriali dell’alta finanza o se si trasformerà in qualche nuova avventura imprenditoriale.


Pagina 99, 7 maggio 2016

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